Storia di Roma nel medioevo di Alfonso Gatto
Un tomo di oltre mille pagine, da leggere prima di addormentarsi. Chi crede che non sia il massimo non ha tutti i torti, ma le storie ed i misteri del medioevo nella città eterna sono paragonabili ad un romanzo intrigante. Peccato che nel libro di Alfonso Gatto non siano presenti troppi schemi riassuntivi, cartine, disegni illustrativi che avrebbero aiutato a memorizzare ed a fissare nella mente gli eventi; d'altronde va dato atto che racchiudere mille anni di storia in un solo volume, con un'ampia bibliografia, sia già un'opera immensa. Milleduecentoquindici anni di storia in trenta capitoli. Si va dall'affermazione della religione cristiana nella Roma imperiale e lo sviluppo del potere spirituale e temporale della Chiesa al sacco di Roma del 1527. Se ne fa un ampio quadro politico, religioso, economico, sociale, culturale, edilizio, urbanistico. La trattazione di Ludovico Gatto comincia centocinquant'anni prima dell'inizio "canonico" del Medioevo e termina cinquanta anni dopo la sua fine "ufficiale", poichè l'autore ha ritenuto importante capire l'antefatto e le conseguenze dei mille anni dell'età di mezzo a Roma. L'antefatto serve a comprendere la situazione che porta alla caduta dell'impero Romano a cui si lega l'inizio del Medioevo. Si parte dunque dall'imperatore Costantino, dall'affermazione del Cristianesimo, dallo spostamento della capitale ad oriente, tutto visto dalla prospettiva della città di Roma. Si passa successivamente alla fase di decadenza con il sacco di Alarico fino alla deposizione di Romolo Augustolo ultimo imperatore. Dunque le guerre greco-gotiche e l'affermarsi dell'autorità del papa. La prima parte è molto interessante, poichè l'alto medioevo non è ricco di fonti ed è considerato per questo un periodo oscuro, misterioso, ma Alfonso Gatto ci fornisce ampie ricostruzioni della vita a Roma fino all'anno mille. Interessanti le stime, forse impossibili, del numero di abitanti in città che io amo in particolar modo; esse danno un contributo importante a immaginare questo scorcio di passato. Vi si ritrovano cenni di urbanistica, chiese e monumenti costruiti o ricostruiti, e di vita sociale, nonchè cronache di delitti e cronache amorose. Episodi simbolo di questi anni sono ad esempio il papato di Gregorio Magno e il miracolo della peste, il conflitto fra il papato e i bizantini nel seicento, l'incoronazione di Carlo Magno nella notte di Natale dell'ottocento, il papa Formoso che fu processato da morto rivestito degli abiti sacri, la pornocrazia romana periodo nel quale i papi furono sotto l'influenza di donne corrotte, in particolare Teodora e sua figlia Marozia, il dominio della famiglia dei Crescenzi a Roma. Questo libro rivela queste vicende a chi non le sa, e per gli altri di certo le arricchisce di particolari. Avvincente poi è ritrovare i luoghi di cui si è letto attraverso una visita sul posto. Molto del medioevo a Roma è andato perduto, ma se ne conserva pur sempre, anche se si divulga poco, una gran parte. Tornando alle vicende del libro si prosegue con i secoli successivi al mille con il potere dei papi, sempre in primo piano, la lotta per le investiture, la cattività avignonese, Cola di Rienzo, le famiglie piu' ricche che si contendono i papi, fino al cinquecento, al sacco di Carlo V. La storia si può imparare con wikipedia ma una bella letta a qualche libro aiuta e fa passare il tempo
31.12.10
15.12.10
Curiosare i lavori in corso
Visita ai "Cantieri aperti" della Metro C
Assecondando una delle mie grandi passioni mi sono aggregato a gruppi di anziani, genitori con bambini, ed utenti occasionali alla manifestazione dal nome "Cantieri Aperti". Organizzata dalle ditte che stanno svolgendo i lavori delle nuove metropolitane C e B1, l'incontro è volto ad illustrare l'avanzamento della costruzione di queste grandi opere. Data la mia perversa passione per i lavori in corso e per l'avanzamento lavori, a Centocelle poi, non potevo mancare. Devo infatti ammettere che tra le mie passioni c'è quella di curiosare i siti come romametropolitane.it o metrocspa.it che danno ampi ragguagli sulle opere effettuate e su quelle in corso, con tanto di foto e schemini. Ogni mese aspetto l'aggiornamento delle immagini, i nuovi tratti di galleria scavati, ed i nuovi tempi di fine lavori. Mi piace verificare anche con sguardi rapidi ai cantieri del mio quartiere o della città, ma è sempre molto difficile, si ruba solo qualche dettaglio. Questa volta ho il tempo di approfondire, c'è l'esperienza di qualche tecnico che ti da delle notizie impossibili da reperire altrove, c'è un bel video che racconta la storia dei lavori, c'è il balcone che si affaccia su trenta metri di scavi, c'è l'anteprima dell'atrio della nuova stazione Mirti. Meno pericoloso di cantine aperte, cantieri aperti è stata un'esperienza davvero emozionante.
Assecondando una delle mie grandi passioni mi sono aggregato a gruppi di anziani, genitori con bambini, ed utenti occasionali alla manifestazione dal nome "Cantieri Aperti". Organizzata dalle ditte che stanno svolgendo i lavori delle nuove metropolitane C e B1, l'incontro è volto ad illustrare l'avanzamento della costruzione di queste grandi opere. Data la mia perversa passione per i lavori in corso e per l'avanzamento lavori, a Centocelle poi, non potevo mancare. Devo infatti ammettere che tra le mie passioni c'è quella di curiosare i siti come romametropolitane.it o metrocspa.it che danno ampi ragguagli sulle opere effettuate e su quelle in corso, con tanto di foto e schemini. Ogni mese aspetto l'aggiornamento delle immagini, i nuovi tratti di galleria scavati, ed i nuovi tempi di fine lavori. Mi piace verificare anche con sguardi rapidi ai cantieri del mio quartiere o della città, ma è sempre molto difficile, si ruba solo qualche dettaglio. Questa volta ho il tempo di approfondire, c'è l'esperienza di qualche tecnico che ti da delle notizie impossibili da reperire altrove, c'è un bel video che racconta la storia dei lavori, c'è il balcone che si affaccia su trenta metri di scavi, c'è l'anteprima dell'atrio della nuova stazione Mirti. Meno pericoloso di cantine aperte, cantieri aperti è stata un'esperienza davvero emozionante.
9.12.10
Ci piace l'arte contemporanea?
Visita al Maxxi
Finalmente. Avevo una grossa curiosità di entrare in questo posto per constatare se ne valesse la pena o se fosse solo un'occasione di intrattenimento modaiolo o radical-chic. Da un pò di tempo leggevo di code alla biglietteria, di dati interessanti sulle presenze. Come sempre è meglio aspettare, tanto il Maxxi non scappa, al massimo cambia qualche esposizione temporanea, ma non sono così esperto da avere preferenze verso l'uno o l'altro artista. Giunge l'occasione buona e l'orario buono (a cavallo del pranzo). Il quartiere già di per sè è interessante e questa serie di linee strane che ne rompono l'armonia è davvero divertente. Secondo me "divertente" è l'aggettivo giusto, l'impatto con questo monumento alternativo mette allegria. Ci si ritrova gioiosamente spiazzati, come un bimbo davanti ad un parco giochi. Entrando poi non si sa dove volgere lo sguardo. Tubi appesi, scale assurde, strane composizioni ed ampi spazi da esplorare. Non è chiaro come muoversi, non c'è un percorso guidato, ma troviamo le descrizioni delle installazioni piu' importanti. Pian pianino ci orizzontiamo e prendiamo coraggio. Infine capiamo come goderci la visita e diventiamo dei veri esperti del contemporaneo. Perchè in fondo non ci vuole molto, basta lasciarsi andare, ogni composizione, ogni luce, ogni movimento di queste opere trasmette una sensazione insolita. Che dire ad esempio di "Sculture di linfa" una stanza tappezzata da corteccia come se fosse l'interno di un albero con un tronco sul pavimento con della linfa raccolta, dicono sia arte povera. L'opera di ingresso poi "Widow" una cosa stranissima ed enorme che sembra una tripla tuba che non permette di vedere da ciascuna delle tre estremità le altre aperture. Che faccia fare poi davanti alle illuminazioni di Mario Merz o che pensare ascoltando le varie audioinstallazioni che incontriamo. Ci mancano i riferimenti, ma forse proprio per questo non ci scomponiamo e proseguiamo temerari. Così alternando le nostre nuove identità, passando da un Achille Bonito Oliva, alla moglie di Alberto Sordi alla biennale di Venezia in "Le vacanze intelligenti", passiamo quasi tre ore senza accorgercene. E come dicevo all'inizio una delle attrazioni maggiori è la stessa struttura di Zaha Hadid che si presta alla meraviglia ed alla circumnavigazione. Sfiniti ma contenti, una vera giornata alternativa
Finalmente. Avevo una grossa curiosità di entrare in questo posto per constatare se ne valesse la pena o se fosse solo un'occasione di intrattenimento modaiolo o radical-chic. Da un pò di tempo leggevo di code alla biglietteria, di dati interessanti sulle presenze. Come sempre è meglio aspettare, tanto il Maxxi non scappa, al massimo cambia qualche esposizione temporanea, ma non sono così esperto da avere preferenze verso l'uno o l'altro artista. Giunge l'occasione buona e l'orario buono (a cavallo del pranzo). Il quartiere già di per sè è interessante e questa serie di linee strane che ne rompono l'armonia è davvero divertente. Secondo me "divertente" è l'aggettivo giusto, l'impatto con questo monumento alternativo mette allegria. Ci si ritrova gioiosamente spiazzati, come un bimbo davanti ad un parco giochi. Entrando poi non si sa dove volgere lo sguardo. Tubi appesi, scale assurde, strane composizioni ed ampi spazi da esplorare. Non è chiaro come muoversi, non c'è un percorso guidato, ma troviamo le descrizioni delle installazioni piu' importanti. Pian pianino ci orizzontiamo e prendiamo coraggio. Infine capiamo come goderci la visita e diventiamo dei veri esperti del contemporaneo. Perchè in fondo non ci vuole molto, basta lasciarsi andare, ogni composizione, ogni luce, ogni movimento di queste opere trasmette una sensazione insolita. Che dire ad esempio di "Sculture di linfa" una stanza tappezzata da corteccia come se fosse l'interno di un albero con un tronco sul pavimento con della linfa raccolta, dicono sia arte povera. L'opera di ingresso poi "Widow" una cosa stranissima ed enorme che sembra una tripla tuba che non permette di vedere da ciascuna delle tre estremità le altre aperture. Che faccia fare poi davanti alle illuminazioni di Mario Merz o che pensare ascoltando le varie audioinstallazioni che incontriamo. Ci mancano i riferimenti, ma forse proprio per questo non ci scomponiamo e proseguiamo temerari. Così alternando le nostre nuove identità, passando da un Achille Bonito Oliva, alla moglie di Alberto Sordi alla biennale di Venezia in "Le vacanze intelligenti", passiamo quasi tre ore senza accorgercene. E come dicevo all'inizio una delle attrazioni maggiori è la stessa struttura di Zaha Hadid che si presta alla meraviglia ed alla circumnavigazione. Sfiniti ma contenti, una vera giornata alternativa
22.11.10
Il popolo del risorgimento
Noi credevamo di Mario Martone
Ormai ci siamo : il centocinquantesimo è giunto, le celebrazioni sono alle porte. Se ne parla, si vendono libri, si inaugurano mostre, si dibatte in tv, soprattutto sulla mia amata "RaiStoria". Ovviamente se ne accorge solo chi vuole accorgersene; le informazioni che prevalgono nell'etere sono quasi sempre legate alla sexy-politica, ma chi è interessato può trovare scampoli di informazioni gratificanti. Così è arrivato anche il filmone sul risorgimento, prima a Venezia dove non è che abbia ricevuto grandi onori e poi al cinema. Appena è uscito ho sentito alcuni giudizi positivi da giornalisti e storici e di conseguenza, visto che Martone è un'artista di tutto rispetto, ho pensato di volerlo vederlo, anche se le tre ore mi spaventano sempre. "Noi credevamo" purtroppo è stato distribuito solo in qualche rara sala di una città grande come Roma ma neanche un bell'acquazzone violento mi ha impedito di raggiungere una sala cinematografica all'Eur e di godermi un film elettrizzante. Perchè il risorgimento è di per sè esaltante, tante figure di valore che ai nostri giorni metterebbero su una bella rivoluzione, ma si sa, certi treni non passano così spesso. E così ci si fa prendere da storie del passato. Ragazzi, perchè i giovani hanno unito l'Italia, e qualche bella testa pensante con Mazzini, un vero dominus. Grazie a questa gente ci siamo tolti dalle scatole la frammentazione di stati e staterelli che ci limitava e ci rendeva servi dello straniero. Ma i sogni erano piu' grandi di quello che si è realizzato e le modalità sono state piu' complesse di una semplificata storia patinata. Il film ovviamente non può raccontare tutta la storia, ma ci aiuta ad entrare in quell'atmosfera ed in quei luoghi. Senza giudizi, senza enfasi, senza retorica. Il punto di vista è quello di tre ragazzi del Regno delle due Sicile, due nobili ed un popolano che prendono parte a vario titolo ai primi moti del '21. Da qui si diramano le varie vicende attraverso società massoniche, finanziamenti segreti, attentati andati a vuoto, vicende carcerarie, per giungere infine al dopo unità in un'Italia che però non è quella sognata. Le divisioni restano, fra monarchici e repubblicani, fra nobili e popolani, fra nordisti e sudisti in un territorio dilaniato ancora per decenni da contrasti irrisolti. Ma lo spirito, le idee che sono girate, e che in parte si sono concretizzate fanno del Risorgimento italiano un momento di cui andare fieri. Grande cast, grande sceneggiatura, grande emozione. Dall'inizio alla fine. E quando ho sentito "
Ormai ci siamo : il centocinquantesimo è giunto, le celebrazioni sono alle porte. Se ne parla, si vendono libri, si inaugurano mostre, si dibatte in tv, soprattutto sulla mia amata "RaiStoria". Ovviamente se ne accorge solo chi vuole accorgersene; le informazioni che prevalgono nell'etere sono quasi sempre legate alla sexy-politica, ma chi è interessato può trovare scampoli di informazioni gratificanti. Così è arrivato anche il filmone sul risorgimento, prima a Venezia dove non è che abbia ricevuto grandi onori e poi al cinema. Appena è uscito ho sentito alcuni giudizi positivi da giornalisti e storici e di conseguenza, visto che Martone è un'artista di tutto rispetto, ho pensato di volerlo vederlo, anche se le tre ore mi spaventano sempre. "Noi credevamo" purtroppo è stato distribuito solo in qualche rara sala di una città grande come Roma ma neanche un bell'acquazzone violento mi ha impedito di raggiungere una sala cinematografica all'Eur e di godermi un film elettrizzante. Perchè il risorgimento è di per sè esaltante, tante figure di valore che ai nostri giorni metterebbero su una bella rivoluzione, ma si sa, certi treni non passano così spesso. E così ci si fa prendere da storie del passato. Ragazzi, perchè i giovani hanno unito l'Italia, e qualche bella testa pensante con Mazzini, un vero dominus. Grazie a questa gente ci siamo tolti dalle scatole la frammentazione di stati e staterelli che ci limitava e ci rendeva servi dello straniero. Ma i sogni erano piu' grandi di quello che si è realizzato e le modalità sono state piu' complesse di una semplificata storia patinata. Il film ovviamente non può raccontare tutta la storia, ma ci aiuta ad entrare in quell'atmosfera ed in quei luoghi. Senza giudizi, senza enfasi, senza retorica. Il punto di vista è quello di tre ragazzi del Regno delle due Sicile, due nobili ed un popolano che prendono parte a vario titolo ai primi moti del '21. Da qui si diramano le varie vicende attraverso società massoniche, finanziamenti segreti, attentati andati a vuoto, vicende carcerarie, per giungere infine al dopo unità in un'Italia che però non è quella sognata. Le divisioni restano, fra monarchici e repubblicani, fra nobili e popolani, fra nordisti e sudisti in un territorio dilaniato ancora per decenni da contrasti irrisolti. Ma lo spirito, le idee che sono girate, e che in parte si sono concretizzate fanno del Risorgimento italiano un momento di cui andare fieri. Grande cast, grande sceneggiatura, grande emozione. Dall'inizio alla fine. E quando ho sentito "
Quando all'appello di Garibaldiho avvertito una scossa, un impeto, un desiderio di partire di nuovo, con un nuovo condottiero.
tutti i suoi figli suoi figli baldi
daranno uniti fuoco alla mina
camicia rossa garibaldina
daranno uniti fuoco alla mina
camicia rossa garibaldina...
10.11.10
Tommasino da Pietralata
Una vita violenta di P.P.Pasolini
Roma e il dopoguerra, un bacino di storie, di vite, di personaggi a cui Pasolini ha attinto in maniera esemplare. Un mondo dipinto, riprodotto, analizzato, cantato in libri, film, articoli giornalistici. Come non essere attratti da uno scrittore che sembra calato dall'alto a spiegarti come stanno le cose; e come non desiderare di sentire il racconto antico delle mura e dei volti che vedi ogni giorno per le vie della città. Così dopo "Ragazzi di vita" , "Una vita violenta" approfondisce e mostra ancor di piu' i caratteri "difficili" della borgata romana nel periodo del boom economico. La storia di Tommaso è sporca, fangosa, fredda, e la conclusione drammatica ne è il termine ovvio. Negli anni'50 la speranza, il sogno, i soldi che si cominciano a vedere, posti di lavoro per tutti, di conseguenza molte persone hanno iniziato ad avere possibilità svaghi e divertimenti. Ma i nostri ragazzi di periferia hanno molta difficoltà ad emergere, anche grazie alla loro "purezza" che li tiene distanti dal conformismo che allora inizia a muovere i primi passi. Lo sguardo che Pasolini muove su questi luoghi e su questi volti è quello di un regista cinematografico. Campo lungo sullo spiazzo di Pietralata fra le baracche dove i ragazzini giocano a pallone e poi primi piani sui vari Tommasino, Lello, Zucabbo. Li seguiamo poi con la comitiva a piedi o col "millanta", girare per una bellissima Roma, senza traffico e caos, per ruberie d'altri tempi o per cercare l'amore o per osterie. Come non pensare a quei tanti film degli anni '50 che raccontano così dettagliatamente l'Italia di allora; questo romanzo ne è un degno collega. Ci sono inoltre spaccati sociologici a tutto tondo ad esmpio la politica, con Tommasino prima simpatizzante dei missini che finisce ad iscriversi al partito comunista e la scena madre della rivolta "comunista" al sanatorio è grandiosa. C'è il problema idrogeologico che a quei tempi rendeva malsana la zona di Pietralata, con l'alluvione che rende Tommasino un eroe ma lo condanna alla morte per tubercolosi, male che all'epoca fa molte vittime. E per concludere non si può non rimanere colpiti dal linguaggio, anche perchè qualcuno lo protrebbe trovare troppo ostico, un romanesco di borgata ormai in disuso che però contribuisce a rendere di notevole efficacia la ricostruzione della realtà.
Roma e il dopoguerra, un bacino di storie, di vite, di personaggi a cui Pasolini ha attinto in maniera esemplare. Un mondo dipinto, riprodotto, analizzato, cantato in libri, film, articoli giornalistici. Come non essere attratti da uno scrittore che sembra calato dall'alto a spiegarti come stanno le cose; e come non desiderare di sentire il racconto antico delle mura e dei volti che vedi ogni giorno per le vie della città. Così dopo "Ragazzi di vita" , "Una vita violenta" approfondisce e mostra ancor di piu' i caratteri "difficili" della borgata romana nel periodo del boom economico. La storia di Tommaso è sporca, fangosa, fredda, e la conclusione drammatica ne è il termine ovvio. Negli anni'50 la speranza, il sogno, i soldi che si cominciano a vedere, posti di lavoro per tutti, di conseguenza molte persone hanno iniziato ad avere possibilità svaghi e divertimenti. Ma i nostri ragazzi di periferia hanno molta difficoltà ad emergere, anche grazie alla loro "purezza" che li tiene distanti dal conformismo che allora inizia a muovere i primi passi. Lo sguardo che Pasolini muove su questi luoghi e su questi volti è quello di un regista cinematografico. Campo lungo sullo spiazzo di Pietralata fra le baracche dove i ragazzini giocano a pallone e poi primi piani sui vari Tommasino, Lello, Zucabbo. Li seguiamo poi con la comitiva a piedi o col "millanta", girare per una bellissima Roma, senza traffico e caos, per ruberie d'altri tempi o per cercare l'amore o per osterie. Come non pensare a quei tanti film degli anni '50 che raccontano così dettagliatamente l'Italia di allora; questo romanzo ne è un degno collega. Ci sono inoltre spaccati sociologici a tutto tondo ad esmpio la politica, con Tommasino prima simpatizzante dei missini che finisce ad iscriversi al partito comunista e la scena madre della rivolta "comunista" al sanatorio è grandiosa. C'è il problema idrogeologico che a quei tempi rendeva malsana la zona di Pietralata, con l'alluvione che rende Tommasino un eroe ma lo condanna alla morte per tubercolosi, male che all'epoca fa molte vittime. E per concludere non si può non rimanere colpiti dal linguaggio, anche perchè qualcuno lo protrebbe trovare troppo ostico, un romanesco di borgata ormai in disuso che però contribuisce a rendere di notevole efficacia la ricostruzione della realtà.
18.10.10
Matti e sani
La pecora nera di Ascanio Celestini
Ascanio Celestini è da un pò che si muove sulla scena romana e nazionale, con i suoi spettacoli. La prima volta che l'ho visto all'Ambra Iovinelli, sono rimasto piacevolmente stupito. Non ne sapevo molto e lo spettacolo era "Scemo di guerra" ; ebbene, in un'ora e mezza, da solo, l'artista ha tenuto gli spettatori in viva attenzione e curiosità, senza mai cadere di tono. Solo raccontando. Ascanio Celestini sa raccontare in maniera appassionante, creativa ed istruttiva delle storie vere o verosimili. C'è dentro la storia, ma non quella degli storici, c'è quella vissuta dalla gente che ha ricorda quello che ha visto, ci sono le tradizioni, gli usi i costumi di quello che una volta si chiamava "proletariato". Ma la grande capacità di Celestini è in quel suo parlare veloce, nel suo linguaggio ricercato e popolare, nei gesti, nel suo pizzetto alla zz top, nelle battute, nel suo romanesco d'altri tempi. Mi venne da pensare e non solo a me, di aver trovato il Dario Fo dei nostri tempi. Così spettacolo dopo spettacolo il nostro ha allargato il suo sguardo artistico giungendo all'opera prima da regista cinematografico. La pecora nera era stata presentata già a teatro, ma il salto al cinema, con una tipologia di rappresentazione come la sua non è immediato. Non si passa da un monologo alla rappresentazione animata di piu' attori, seppure fantastica e onirica, senza rischi. Ma Celestini ha saputo rendere anche in questa forma espressiva il senso della sua missione, senza perdere in qualità. Il film è dedicato al mondo dei matti, al vecchio manicomio, che in tutta la sua drammaticità, alla fine, si rivela piu' rassicurante del mondo folle in cui vivono i "sani". Poesia, ironia, fantasia, ma anche un pò di amarezza, di difficoltà del vivere, di spaesatezza. C'è il forte contrasto tra una vita povera, ma genuina di qualche anno fa ed il centro commerciale, ricco, ma sofisticato, dei nostri tempi. Ci sono i bravi attori bambini, e i bravi attori grandi. Un filmetto che a Venezia ha portato lo stendardo del cinema italiano d'autore.
Ascanio Celestini è da un pò che si muove sulla scena romana e nazionale, con i suoi spettacoli. La prima volta che l'ho visto all'Ambra Iovinelli, sono rimasto piacevolmente stupito. Non ne sapevo molto e lo spettacolo era "Scemo di guerra" ; ebbene, in un'ora e mezza, da solo, l'artista ha tenuto gli spettatori in viva attenzione e curiosità, senza mai cadere di tono. Solo raccontando. Ascanio Celestini sa raccontare in maniera appassionante, creativa ed istruttiva delle storie vere o verosimili. C'è dentro la storia, ma non quella degli storici, c'è quella vissuta dalla gente che ha ricorda quello che ha visto, ci sono le tradizioni, gli usi i costumi di quello che una volta si chiamava "proletariato". Ma la grande capacità di Celestini è in quel suo parlare veloce, nel suo linguaggio ricercato e popolare, nei gesti, nel suo pizzetto alla zz top, nelle battute, nel suo romanesco d'altri tempi. Mi venne da pensare e non solo a me, di aver trovato il Dario Fo dei nostri tempi. Così spettacolo dopo spettacolo il nostro ha allargato il suo sguardo artistico giungendo all'opera prima da regista cinematografico. La pecora nera era stata presentata già a teatro, ma il salto al cinema, con una tipologia di rappresentazione come la sua non è immediato. Non si passa da un monologo alla rappresentazione animata di piu' attori, seppure fantastica e onirica, senza rischi. Ma Celestini ha saputo rendere anche in questa forma espressiva il senso della sua missione, senza perdere in qualità. Il film è dedicato al mondo dei matti, al vecchio manicomio, che in tutta la sua drammaticità, alla fine, si rivela piu' rassicurante del mondo folle in cui vivono i "sani". Poesia, ironia, fantasia, ma anche un pò di amarezza, di difficoltà del vivere, di spaesatezza. C'è il forte contrasto tra una vita povera, ma genuina di qualche anno fa ed il centro commerciale, ricco, ma sofisticato, dei nostri tempi. Ci sono i bravi attori bambini, e i bravi attori grandi. Un filmetto che a Venezia ha portato lo stendardo del cinema italiano d'autore.
11.10.10
La macchietta del nord e del sud
Benvenuti al sud di Luca Miniero
Mi capita qualche volta di essere "invitato" a vedere film tranquilli per fare due risate. Se non si tratta proprio un cinepanettone e se non sembra malvagio mi dispongo positivamente alla visione. In questa occasione un buon trailer faceva ben sperare. In realtà "Benvenuti al sud" fa ridere solo nelle scene del trailer. Esso non è una commedia divertente bensì un filmetto banale, che usa stereotipi vecchi e decrepiti su nord e sud che possono rivelarsi addirittura irritanti sia per quelli del nord, che per quelli del sud ma anche per quelli del centro. Prende spunto da un film francese che ho visto in parte e che non faceva ridere altrettanto. Bisogna comunque dire a difesa degli attori, Bisio e Siani, che sarebbero anche bravi, ma avrebbero bisogno di una sceneggiatura e di un regista che li valorizzasse. Per il resto non ci sono parolacce, il paesino salernitano dove è ambientata la vicenda è un bel borgo, va detto che in sala ho notato diverse persone ridere di gusto, ma per quanto mi riguarda questo film è vuoto. E' comunque importante averlo visto per poterlo criticare alla luce dell'immeriato successo che ha avuto. In fondo l'Italia vincente, l'Italia che ha la maggioranza è quella che prima litiga poi mangia assieme pajata e polenta, come bossi e polverini. Molto grossolanamente il gorgonzola e la mozzarella del film rappresentano questa lite che si trasforma in patto d'acciaio della banalità. Il problema generale è che si cerca la sintesi, la facilità, l'immagine riassuntiva, la retorica superficiale e si liquidano in slogan buoni per le campagne elettorali, situazioni complesse che andrebbero analizzate e risolte in maniera elaborata. Le differenze tra il nord ed il sud non sono riassumibili nei soliti dualismi : il sole e la nebbia, il ridanciano ed il musone, la mafia e la legalità, la monnezza e la pulizia, la mozzarella ed il gorgonzola. Per fare un confronto bisognerebbe ristudiarsi almeno gli ultimi duecento anni di storia, farsi un giro per gli ottomila comuni italiani, conoscerne gli abitanti e le istituzioni e dopo anni di analisi si potrebbe scrivere un libro lungo come la treccani. Questo sì sarebbe un confronto, per quanto inutile. Ciò che è sbagliato è la premessa : non ha senso, o comunque è anacronistico contrapporre il nord ed il sud.
Mi capita qualche volta di essere "invitato" a vedere film tranquilli per fare due risate. Se non si tratta proprio un cinepanettone e se non sembra malvagio mi dispongo positivamente alla visione. In questa occasione un buon trailer faceva ben sperare. In realtà "Benvenuti al sud" fa ridere solo nelle scene del trailer. Esso non è una commedia divertente bensì un filmetto banale, che usa stereotipi vecchi e decrepiti su nord e sud che possono rivelarsi addirittura irritanti sia per quelli del nord, che per quelli del sud ma anche per quelli del centro. Prende spunto da un film francese che ho visto in parte e che non faceva ridere altrettanto. Bisogna comunque dire a difesa degli attori, Bisio e Siani, che sarebbero anche bravi, ma avrebbero bisogno di una sceneggiatura e di un regista che li valorizzasse. Per il resto non ci sono parolacce, il paesino salernitano dove è ambientata la vicenda è un bel borgo, va detto che in sala ho notato diverse persone ridere di gusto, ma per quanto mi riguarda questo film è vuoto. E' comunque importante averlo visto per poterlo criticare alla luce dell'immeriato successo che ha avuto. In fondo l'Italia vincente, l'Italia che ha la maggioranza è quella che prima litiga poi mangia assieme pajata e polenta, come bossi e polverini. Molto grossolanamente il gorgonzola e la mozzarella del film rappresentano questa lite che si trasforma in patto d'acciaio della banalità. Il problema generale è che si cerca la sintesi, la facilità, l'immagine riassuntiva, la retorica superficiale e si liquidano in slogan buoni per le campagne elettorali, situazioni complesse che andrebbero analizzate e risolte in maniera elaborata. Le differenze tra il nord ed il sud non sono riassumibili nei soliti dualismi : il sole e la nebbia, il ridanciano ed il musone, la mafia e la legalità, la monnezza e la pulizia, la mozzarella ed il gorgonzola. Per fare un confronto bisognerebbe ristudiarsi almeno gli ultimi duecento anni di storia, farsi un giro per gli ottomila comuni italiani, conoscerne gli abitanti e le istituzioni e dopo anni di analisi si potrebbe scrivere un libro lungo come la treccani. Questo sì sarebbe un confronto, per quanto inutile. Ciò che è sbagliato è la premessa : non ha senso, o comunque è anacronistico contrapporre il nord ed il sud.
27.9.10
Ci vuole passione
La Passione di Carlo Mazzacurati
Molti film italiani all'ultimo festival di Venezia; cerco di capire se hanno una buona qualità e sento giudizi positivi, anche se non concordi su "La Passione" di Carlo Mazzacurati. Questo regista che avevo seguito nei primi film "Notte italiana" e "La lingua del santo" l'avevo un pò perso di vista. Non è stato mai abbastanza sponsorizzato visti i suoi film "minimal", di provincia, poco spettacolari. Per caso, il giorno prima dell'uscita de "La passione", hanno dato in tv "La giusta distanza", un interessantissimo giallo ambientato in un Polesine sapientemente dipinto. Un film che anche Raiuno avrebbe potuto trasmettere, conservando e magari superando gli ascolti delle squallide fiction che ne popolano le serate, acquistando un pò di qualità. La Passione invece è un film piu' complesso, una commedia picaresca, con il meccanismo del film nel film (meglio ancora del quasi film, piu' una rappresentazione pasquale, nel film). La trama è molto intricata ed allo stesso tempo scoppiettante, il ritmo sempre alto, la comicità dei personaggi dona leggerezza all'architettura. Il risultato è un film anomalo, atipico, alternativo, originale per il cinema italiano, quasi sperimentale. Gli attori hanno potuto dare libero sfogo alle loro capacità e tra Silvio Orlando, Battiston ed un folgorante Corrado Guzzanti non si sa chi sia stato piu' bravo. Altro aspetto da sottolineare è il lavoro su un'unità di spazio limitata, ma fortemente evocativa, che è una delle caratteristiche meritorie del cinema di Mazzacurati, spesso c'è la provincia veneta, nel nostro caso ci imbattiamo nel piccolo ed impeccabile comune toscano. Paesaggio incontaminato, borgo medievale, con annessi amministratori e paesani caratteristici, un piccolo mondo ricreato con gusto. Ma non manca la connessione con la realtà fatta di fiction televisive che celebrano attricette di poco pregio e di registi mobbizzati dai produttori.
Un grido di aiuto alla genialità e alla creatività dell'artista come anticorpo alla decadenza culturale del nostro paese. Chi osa (ed è bravo) vince.
Molti film italiani all'ultimo festival di Venezia; cerco di capire se hanno una buona qualità e sento giudizi positivi, anche se non concordi su "La Passione" di Carlo Mazzacurati. Questo regista che avevo seguito nei primi film "Notte italiana" e "La lingua del santo" l'avevo un pò perso di vista. Non è stato mai abbastanza sponsorizzato visti i suoi film "minimal", di provincia, poco spettacolari. Per caso, il giorno prima dell'uscita de "La passione", hanno dato in tv "La giusta distanza", un interessantissimo giallo ambientato in un Polesine sapientemente dipinto. Un film che anche Raiuno avrebbe potuto trasmettere, conservando e magari superando gli ascolti delle squallide fiction che ne popolano le serate, acquistando un pò di qualità. La Passione invece è un film piu' complesso, una commedia picaresca, con il meccanismo del film nel film (meglio ancora del quasi film, piu' una rappresentazione pasquale, nel film). La trama è molto intricata ed allo stesso tempo scoppiettante, il ritmo sempre alto, la comicità dei personaggi dona leggerezza all'architettura. Il risultato è un film anomalo, atipico, alternativo, originale per il cinema italiano, quasi sperimentale. Gli attori hanno potuto dare libero sfogo alle loro capacità e tra Silvio Orlando, Battiston ed un folgorante Corrado Guzzanti non si sa chi sia stato piu' bravo. Altro aspetto da sottolineare è il lavoro su un'unità di spazio limitata, ma fortemente evocativa, che è una delle caratteristiche meritorie del cinema di Mazzacurati, spesso c'è la provincia veneta, nel nostro caso ci imbattiamo nel piccolo ed impeccabile comune toscano. Paesaggio incontaminato, borgo medievale, con annessi amministratori e paesani caratteristici, un piccolo mondo ricreato con gusto. Ma non manca la connessione con la realtà fatta di fiction televisive che celebrano attricette di poco pregio e di registi mobbizzati dai produttori.
Un grido di aiuto alla genialità e alla creatività dell'artista come anticorpo alla decadenza culturale del nostro paese. Chi osa (ed è bravo) vince.
20.9.10
Piu' di un'epopea scolastica
Il risorgimento italiano di A.M Banti
Dopo l'attrattiva per il medioevo ed i suoi offuscati contorni, mi è presa la curiosità di approfondire il Risorgimento italiano. Questo periodo storico è stato seppellito per lunghi anni in melassa retorica nazionalista fino a renderlo indigesto. Dai tempi in cui l'ho studiato a scuola non ho avuto modo di ritornarci per mancanza di stimoli come ad esempio programmi televisivi, servizi giornalistici o film. Ma ora, un pò per una mia sensazione di depauperamento di conoscenze storiche, un tempo brillanti, un pò per la concomitante celebrazione del centocinquantenario dell'unità d'Italia, ho avuto voglia di riprendere l'argomento. Oltre a qualche documentario visto su Rai Storia mi è venuto incontro questo interessante libro edito da Laterza "Il Risorgimento italiano" di Alberto Mario Banti. Il punto di vista che guida l'opera è la nascita e lo sviluppo dell'idea di unità, piu' che che la solita tiritera di moti e battaglie. Un libro "poco risorgimentale" in senso stretto, cioè poco incline al patriottismo fasullo dei combattimenti e dei martiri, ma che riserva una trattazione complessa nel mettere insieme le politiche degli stati preunitari e le idee e le azioni dei sostenitori dell'idea di nazione.
L'autore individua l'origine del Risorgimento nel periodo compreso fra il 1796 e il 1799, gli anni delle vittorie napoleoniche del Triennio Repubblicano, perchè
Una lettura attuale, interessante, doverosa, e piacevole che ci ricorda di quanto non sia stata ovvia la costruzione della nazione Italia.
Successivamente preso da questa recuperato amore per il Risorgimento sono andato alla giornata delle celebrazioni dell'anniversario della presa di Porta Pia, ho seguito dibattiti, ho fatto ricerche, ho visto film. Un libro decisamente stimolante.
Dopo l'attrattiva per il medioevo ed i suoi offuscati contorni, mi è presa la curiosità di approfondire il Risorgimento italiano. Questo periodo storico è stato seppellito per lunghi anni in melassa retorica nazionalista fino a renderlo indigesto. Dai tempi in cui l'ho studiato a scuola non ho avuto modo di ritornarci per mancanza di stimoli come ad esempio programmi televisivi, servizi giornalistici o film. Ma ora, un pò per una mia sensazione di depauperamento di conoscenze storiche, un tempo brillanti, un pò per la concomitante celebrazione del centocinquantenario dell'unità d'Italia, ho avuto voglia di riprendere l'argomento. Oltre a qualche documentario visto su Rai Storia mi è venuto incontro questo interessante libro edito da Laterza "Il Risorgimento italiano" di Alberto Mario Banti. Il punto di vista che guida l'opera è la nascita e lo sviluppo dell'idea di unità, piu' che che la solita tiritera di moti e battaglie. Un libro "poco risorgimentale" in senso stretto, cioè poco incline al patriottismo fasullo dei combattimenti e dei martiri, ma che riserva una trattazione complessa nel mettere insieme le politiche degli stati preunitari e le idee e le azioni dei sostenitori dell'idea di nazione.
L'autore individua l'origine del Risorgimento nel periodo compreso fra il 1796 e il 1799, gli anni delle vittorie napoleoniche del Triennio Repubblicano, perchè
“fu in quella fase che per la prima volta si cominciò a parlare di rigenerazione (o risorgimento) della nazione; fu in quel periodo che alcuni ambienti politico-intellettuali formularono per la prima volta chiari progetti di costruzione di uno stato unitario, intorno ai quali si tentò anche di mobilitare energie ed individui“.Il libro prevede accanto alla trattazione degli avvenimenti, i documenti di riferimento, dal "Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799" di Vincenzo Cuoco alle opere di Mazzini, Gioberti, Cattaneo, Garibaldi e degli altri attori dell'unità. Non mancano documentazioni di carte costituzionali quali ad esempio lo statuto "Albertino" o la costituzione della Repubblica Romana.
Una lettura attuale, interessante, doverosa, e piacevole che ci ricorda di quanto non sia stata ovvia la costruzione della nazione Italia.
Successivamente preso da questa recuperato amore per il Risorgimento sono andato alla giornata delle celebrazioni dell'anniversario della presa di Porta Pia, ho seguito dibattiti, ho fatto ricerche, ho visto film. Un libro decisamente stimolante.
13.9.10
Il male che acceca l'uomo
I demoni di Dostoevskij
Sono tornato a leggere Dostoevskij per andare sul sicuro. A suo tempo avevo comprato diversi suoi libri che tenevo ad ammuffire in libreria. Ho estratto così i due volumi de "I Demoni", che qualcuno legge con l'accento sulla "e" e qualcun altro sulla "o", e me ne sono appassionato. La prima parte mi è sembra molto melò, quasi quasi un romanzo "da femmine", un romanzo ottocentesco classico, poi un pò alla volta è prevalsa la matrice politico-sociale dell'opera. Come al solito i personaggi sono molti, e tutti con i nomi russi che, una volta col patronimico una volta col diminutivo, sembrano proliferare a dismisura, c'è da stare attenti. Ma a parte queste piccole difficoltà e nonostante la complessità delle vicende, e dell'ambientazione storico geografica che ad un lettore non proprio russista può sfuggire, la lettura coinvolge parecchio. C'è ritmo, passione, azione, ammazzamenti, ma anche e soprattutto stategia politica, riflessioni filosofiche, crisi spirituali. I personaggi sono fortemente caratterizzati e ti si legano come e piu' di un buon serial televisivo, senza che, per questo, l'opera perda da qualche parte un pizzico di qualità. Solo un grande autore riesce in ciò. Come non rimanere avvinghiati all'enigmatico e folle Nikolaj Stavroghin, un pò il cardine del romanzo sempre in lotta col mondo e con la società fino a diventare apatico e indifferente a tutto; come non divertirsi, nella parte iniziale con Stepan Trofimovic e la sua mecenate la “generalessa” Varvara Petrovna e commuoversi nel loro finale ; come non parteggiare per quella specie di società segreta che anticipa i moti rivoluzionari russi di inizio novecento, composta da varie anime : Pëtr Stepanovic il capo cinico e violento, Kirillov mistico nichilista e distruttivo, che dimostra la non esistenza di Dio attraverso il suicidio cosciente, Šatov, liberalista che abbraccia la causa del grande popolo russo, ma anch'esso tormentato e mal destinato per citarne alcuni. Una serie di uomini ossessionati, posseduti, con animi confusi, sconvolti, per la ricerca snervante dell'idea di libertà e giustizia. Mi piacerebbe vederli nella società italiana attuale, intellettuali di questo calibro, che, si organizzano con la stessa veemenza, nostante contraddizioni e violenze intestine, per ribaltare l'establishment cristallizato, il vecchiume secolarizzato che ci domina e ci guida. Le odierne superficialità e menefreghismo, vuoto di pensiero e di dignità sono proprio all'opposto delle pulsioni che animavano i nostri tormentati demoni. Ma chissà in un futuro non troppo remoto......
Alcune citazioni :
Sono tornato a leggere Dostoevskij per andare sul sicuro. A suo tempo avevo comprato diversi suoi libri che tenevo ad ammuffire in libreria. Ho estratto così i due volumi de "I Demoni", che qualcuno legge con l'accento sulla "e" e qualcun altro sulla "o", e me ne sono appassionato. La prima parte mi è sembra molto melò, quasi quasi un romanzo "da femmine", un romanzo ottocentesco classico, poi un pò alla volta è prevalsa la matrice politico-sociale dell'opera. Come al solito i personaggi sono molti, e tutti con i nomi russi che, una volta col patronimico una volta col diminutivo, sembrano proliferare a dismisura, c'è da stare attenti. Ma a parte queste piccole difficoltà e nonostante la complessità delle vicende, e dell'ambientazione storico geografica che ad un lettore non proprio russista può sfuggire, la lettura coinvolge parecchio. C'è ritmo, passione, azione, ammazzamenti, ma anche e soprattutto stategia politica, riflessioni filosofiche, crisi spirituali. I personaggi sono fortemente caratterizzati e ti si legano come e piu' di un buon serial televisivo, senza che, per questo, l'opera perda da qualche parte un pizzico di qualità. Solo un grande autore riesce in ciò. Come non rimanere avvinghiati all'enigmatico e folle Nikolaj Stavroghin, un pò il cardine del romanzo sempre in lotta col mondo e con la società fino a diventare apatico e indifferente a tutto; come non divertirsi, nella parte iniziale con Stepan Trofimovic e la sua mecenate la “generalessa” Varvara Petrovna e commuoversi nel loro finale ; come non parteggiare per quella specie di società segreta che anticipa i moti rivoluzionari russi di inizio novecento, composta da varie anime : Pëtr Stepanovic il capo cinico e violento, Kirillov mistico nichilista e distruttivo, che dimostra la non esistenza di Dio attraverso il suicidio cosciente, Šatov, liberalista che abbraccia la causa del grande popolo russo, ma anch'esso tormentato e mal destinato per citarne alcuni. Una serie di uomini ossessionati, posseduti, con animi confusi, sconvolti, per la ricerca snervante dell'idea di libertà e giustizia. Mi piacerebbe vederli nella società italiana attuale, intellettuali di questo calibro, che, si organizzano con la stessa veemenza, nostante contraddizioni e violenze intestine, per ribaltare l'establishment cristallizato, il vecchiume secolarizzato che ci domina e ci guida. Le odierne superficialità e menefreghismo, vuoto di pensiero e di dignità sono proprio all'opposto delle pulsioni che animavano i nostri tormentati demoni. Ma chissà in un futuro non troppo remoto......
Alcune citazioni :
"L'elevatezza della struttura umana favorisce
talvolta anche l'inclinazione verso i pensieri cinici, non fosse altro che per la varietà degli sviluppi"
«Avete mai visto una foglia d’albero? Io ne ho vista or non è molto una gialla, un po’ verde, agli orli era marcita. Il vento la portava. Quando avevo dieci anni, d’inverno chiudevo gli occhi apposta e mi rappresentavo una foglia verde, lucente, con le venettine, e il sole splendeva. Aprivo gli occhi e non credevo, perché era molto bello, e li chiudevo di nuovo. Non parlo d’un’allegoria, ma semplicemente d’una foglia, d’una foglia. La foglia è bella. Tutto è bello. L’uomo è infelice, perché non sa di essere felice. Chi lo saprà, colui diventerà subito felice, sull’istante. Tutto è bene, tutto. Tutto è bene per coloro che sanno che tutto è bene. Se sapessero di star bene, starebbero bene, ma finché non lo sanno di star bene, staranno male. Ecco tutta l’idea, tutta, non ce n’è nessun’altra!»
“esistevano due persone, e a un tratto eccone una terza, uno spirito nuovo, compiuto, finito, come non ne escono dalle mani dell’uomo; un nuovo pensiero e un nuovo amore, fa perfino paura… E non c’è nulla di più alto sulla terra!”
"Stepàn Trofimovic aveva saputo toccare nel cuore del suo amico le corde più profonde e suscitare in lui una prima, ancora indefinita sensazione di quella eterna sacra malinconia che certe anime elette, gustatala e conosciutala una volta, non muterebbero poi mai più in una soddisfazione a buon mercato. (Ci sono anche degli amatori che hanno cara questa malinconia più della soddisfazione più piena, anche se questa fosse possibile)."
16.8.10
Roma d'agosto
Al mare ad Ostia, una sera a Ponte Milvio e un'altra al miracolo della neve di Santa Maria Maggiore.
Si può rimanere a Roma e sentirsi sempre in vacanza. E' il pregio di abitare in questa gloriosa città che, nonostante l'impegno al degrado degli abitanti e dell'amministrazione, resta eccelsa. Lo è ancor di piu' se la gente e le macchine che la ingombrano vanno via e lasciano spazio al vuoto. Roma d'agosto è insuperabile, specialmente se non fa troppo caldo; e ferragosto non è così afoso come il mese di luglio. Restare in città per lavoro non è una punizione dunque, ma sfiora il piacere. Le strade sono libere e ti possono venire in mente idee altrimenti poco convincenti. Tipo "andiamo a prendere il gelato a Ponte Milvio" ; che quella è una zona per me fuori mano, anche se amo dare un'occhiatina anche di sfuggita a tutti luoghi della "movida" romana. Ad agosto non c'è nessuno, si trova posto in pizzeria, si può prendere il gelato senza fare fila e attraversare il "ponte dei lucchetti pacchiani" senza troppi adolescenti che scattano foto. La memoria e i fasti dell'antica battaglia sono ormai oscurati ma il ponte regge bene il peso della modernità che avanza. Un altro evento agostano tipico di Roma è la neve a Santa Maria Maggiore. In ricordo di un antico miracolo della Madonna si stupisce la platea, grazie a divertenti installazioni luminose e schiuma di sapone, con una splendida nevicata. L'attesa è esagerata, ma lo spettacolo è emozionante, anche per i turisti stranieri. Un'altra follia che di solito evito è quella di andare al mare ad Ostia. Eppure nei fine settimana ferragostani, partendo a cavallo del pranzo, prendendo la Via del Mare, il traffico è scorrevole ed il parcheggio non è un miraggio. Uno spaghettino con le vongole assaggiato ascoltando il fruscio delle onde e poi una seduta al sole o sotto l'ombrellone a cavallo di una sdraio. Il problema di Ostia è che devi per forza andare in uno stabilimento a pagamento di quelli che da queste parti occupano vergognosamente tutto il litorale senza soluzione di continuità. Sono completamente chiusi e uno non può accedere alla spiaggia liberamente. In alcuni casi hai dei buoni servizi, spogliatoio, piscina, bagno pulito, vicini d'ombrellone discreti, ed allora puoi domare la rabbia, ma se capiti male, non ci ritorni piu'. Ostia poi avrebbe le basi per essere una bella località, il lido della capitale, la zona di piazza dei Ravennati architettonicamente di stampo razionalista non è male per niente, ma sarebbe necessaria un'opera di valorizzazione fatta da persone illuminate che sono purtroppo in forte minoranza in questa città. Buona estate
Si può rimanere a Roma e sentirsi sempre in vacanza. E' il pregio di abitare in questa gloriosa città che, nonostante l'impegno al degrado degli abitanti e dell'amministrazione, resta eccelsa. Lo è ancor di piu' se la gente e le macchine che la ingombrano vanno via e lasciano spazio al vuoto. Roma d'agosto è insuperabile, specialmente se non fa troppo caldo; e ferragosto non è così afoso come il mese di luglio. Restare in città per lavoro non è una punizione dunque, ma sfiora il piacere. Le strade sono libere e ti possono venire in mente idee altrimenti poco convincenti. Tipo "andiamo a prendere il gelato a Ponte Milvio" ; che quella è una zona per me fuori mano, anche se amo dare un'occhiatina anche di sfuggita a tutti luoghi della "movida" romana. Ad agosto non c'è nessuno, si trova posto in pizzeria, si può prendere il gelato senza fare fila e attraversare il "ponte dei lucchetti pacchiani" senza troppi adolescenti che scattano foto. La memoria e i fasti dell'antica battaglia sono ormai oscurati ma il ponte regge bene il peso della modernità che avanza. Un altro evento agostano tipico di Roma è la neve a Santa Maria Maggiore. In ricordo di un antico miracolo della Madonna si stupisce la platea, grazie a divertenti installazioni luminose e schiuma di sapone, con una splendida nevicata. L'attesa è esagerata, ma lo spettacolo è emozionante, anche per i turisti stranieri. Un'altra follia che di solito evito è quella di andare al mare ad Ostia. Eppure nei fine settimana ferragostani, partendo a cavallo del pranzo, prendendo la Via del Mare, il traffico è scorrevole ed il parcheggio non è un miraggio. Uno spaghettino con le vongole assaggiato ascoltando il fruscio delle onde e poi una seduta al sole o sotto l'ombrellone a cavallo di una sdraio. Il problema di Ostia è che devi per forza andare in uno stabilimento a pagamento di quelli che da queste parti occupano vergognosamente tutto il litorale senza soluzione di continuità. Sono completamente chiusi e uno non può accedere alla spiaggia liberamente. In alcuni casi hai dei buoni servizi, spogliatoio, piscina, bagno pulito, vicini d'ombrellone discreti, ed allora puoi domare la rabbia, ma se capiti male, non ci ritorni piu'. Ostia poi avrebbe le basi per essere una bella località, il lido della capitale, la zona di piazza dei Ravennati architettonicamente di stampo razionalista non è male per niente, ma sarebbe necessaria un'opera di valorizzazione fatta da persone illuminate che sono purtroppo in forte minoranza in questa città. Buona estate
26.7.10
Fascismo ieri e oggi
Accanto alla Tigre di Lorenzo Pavolini
C'è un libello che mi è stato prestato e che ha avuto anche apprezzamenti nei premi letterari estivi, ed ha appagato in parte la mia curiosità sul mondo del neofascismo. Mi sono sempre chiesto che cosa ci trovano alcuni ragazzi nel mondo cupo e tetro del ventennio ed in che maniera vorrebbero replicare ai tempi odierni quelle antiche orribili situazioni. Ho conosciuto anche persone non balorde, la maggior parte sono balorde per la verità, che hanno queste passioni politiche. Dopotutto bisogna conoscere prima di giudicare no! Anzi bisogna conoscere e basta perchè ciò che ci interessa è capire la società ed i suoi movimenti. Pavolini fu il numero due di Salò, uno degli ultimi fedeli al Duce, appeso anch'egli a Piazzale Loreto, ma fu anche l'anima culturale dei gerarchi. Pavolini è anche Lorenzo, nipote inconsapevole di tale famoso nonno. La sua è dunque una ricerca familiare, alla scoperta della componente "nera" del suo sangue ma è anche un approfondimento sul neofascismo di oggi. Si parte da Colle Oppio, Esquilino, dove abita lo scrittore e dove è situata Casa Pound. Questa comunità di "estremisti" con i loro manifesti, le loro scritte sui muri ha destato anche la mia attenzione, visto che ho abitato nelle vicinanze. Ho condiviso con lo scrittore le sensazioni di curiosità ed interesse per le loro iniziative e per i loro simboli. Ed una imboscata nelle loro conferenze allargate l'avrei fatta volentieri, non credo sia tutto da buttare. Tornando al libro c'è la rivisitazione della Firenze anni '30 con grandi intellettuali di stampo borghesi, ambiente nel quale si forma e diventa punta di diamante Alessandro Pavolini fino a fondare una rivista importante "Il Bargello" ed il Maggio Fiorentino. Non si riesce a capire come sia possibile una virata così netta verso la retorica fascista ed un mantenimento di tale rotta fino alla fine, fino alla morte sempre a "cavallo della tigre". Lorenzo ci racconta inoltre tanti episodi personali, tanti incontri con persone, tante letture, che lo aiutano a capire, a conoscere e lo fa con una scrittura romanzesca e piacevole, coinvolgendoci e incuriosendoci. Storia e ideologia, intimismo e dialogo. Un bel libercolo!
C'è un libello che mi è stato prestato e che ha avuto anche apprezzamenti nei premi letterari estivi, ed ha appagato in parte la mia curiosità sul mondo del neofascismo. Mi sono sempre chiesto che cosa ci trovano alcuni ragazzi nel mondo cupo e tetro del ventennio ed in che maniera vorrebbero replicare ai tempi odierni quelle antiche orribili situazioni. Ho conosciuto anche persone non balorde, la maggior parte sono balorde per la verità, che hanno queste passioni politiche. Dopotutto bisogna conoscere prima di giudicare no! Anzi bisogna conoscere e basta perchè ciò che ci interessa è capire la società ed i suoi movimenti. Pavolini fu il numero due di Salò, uno degli ultimi fedeli al Duce, appeso anch'egli a Piazzale Loreto, ma fu anche l'anima culturale dei gerarchi. Pavolini è anche Lorenzo, nipote inconsapevole di tale famoso nonno. La sua è dunque una ricerca familiare, alla scoperta della componente "nera" del suo sangue ma è anche un approfondimento sul neofascismo di oggi. Si parte da Colle Oppio, Esquilino, dove abita lo scrittore e dove è situata Casa Pound. Questa comunità di "estremisti" con i loro manifesti, le loro scritte sui muri ha destato anche la mia attenzione, visto che ho abitato nelle vicinanze. Ho condiviso con lo scrittore le sensazioni di curiosità ed interesse per le loro iniziative e per i loro simboli. Ed una imboscata nelle loro conferenze allargate l'avrei fatta volentieri, non credo sia tutto da buttare. Tornando al libro c'è la rivisitazione della Firenze anni '30 con grandi intellettuali di stampo borghesi, ambiente nel quale si forma e diventa punta di diamante Alessandro Pavolini fino a fondare una rivista importante "Il Bargello" ed il Maggio Fiorentino. Non si riesce a capire come sia possibile una virata così netta verso la retorica fascista ed un mantenimento di tale rotta fino alla fine, fino alla morte sempre a "cavallo della tigre". Lorenzo ci racconta inoltre tanti episodi personali, tanti incontri con persone, tante letture, che lo aiutano a capire, a conoscere e lo fa con una scrittura romanzesca e piacevole, coinvolgendoci e incuriosendoci. Storia e ideologia, intimismo e dialogo. Un bel libercolo!
22.7.10
Criminalità e Stato
Festa SEL con dibattito sulla mafia
D'estate si sa ci sono sagre, feste paesane, feste patronali, religiose, e di partito. In ogni caso si mangia, si beve, si ascolta musica, si balla e, se proprio si vuole, si partecipa a messe o dibattiti. Abbiamo scoperto nella tranquilla e vicina Villa Gordiani, che amo già perchè rientra in uno dei miei percorsi podistici, la festa locale di Sinistra e Libertà. In una calda serata estiva di luglio, in un parco del genere si sta bene e si gode di una certa arietta fresca ed inoltre i volontari del partito, come le vecchie feste dell'unità hanno insegnato, preparano carne alla brace ed altre specialità culinarie che insieme alla visita degli stand ti fanno passare una serata alternativa. Dal depliant informativo scopriamo un evento interessante a breve con Nichi Vendola, il procuratore Caselli e Francesco Forgione, ovviamente si parla di mafia. Torniamo dunque la settimana successiva, ma stavolta le persone sono tante, c'è una ressa incredibile per mangiare e non si trovano tavoli. La festa non è calibrata per un evento di così importante spessore, ma ci si adatta. C'è uno spiegamento di forze di polizia attorno al procuratore, che lo guarda e lo protegge : certo che vivere così tutti i giorni non ti permette di dimenticare qual'è la tua professione ; in questo caso non è piu' solo una professione ma è la vita completa. I tre mangiano in un tavolo vicino al nostro e li osserviamo in gesti comuni quali tagliare una bistecca o inforcare un piatto di pasta. A noi il pasto arriva molto piu' tardi, i "camerieri" perdono la bussola. Ma non importa, veniamo al dibattito che è molto appassionante poichè dai conferenzieri fuoriesce passione e sentimento, è facile esserne coinvolti. L'argomento è la criminalità organizzata ed il suo rapporto con lo stato che già di per sè è intrigante. E i nostri non si risparmiano. Si parla di Andreotti, di decreto di legge sulle intercettazioni, di “verità condivise” sulle stragi, dello stato attuale della Magistratura. Caselli spiega perché la giustizia è lenta ; sono stati ridotti del trenta per cento i cancellieri, molti processi sono rinviati per cavilli allucinanti, ne racconta alcuni molto esemplificativi, che rendono facile rimandare ad oltranza il processo. Ironizza sul fatto che questa condizione della giustizia sia voluta per interessi di politici o uomini di potere. Conclude "La mafia non è ancora altro da noi” Un discorso di grande fascino ma che rivela la grande fragilità dei magistrati in questa che sembra una lotta contro i mulini a vento. Vendola parla di militanza del politico contro la mafia, racconta la sua esperienza tra le strade e i paesi della Sicilia, l'amicizia con Forgione e con Caselli e ricorda uomini come Peppino Impastato, parla invece della Moratti che "si è stupita quando ha scoperto che la ‘Ndragheta era ormai radicata nella sua città!”. Ribadisce che la mafia è anzitutto una cultura e via dicendo. Discorsi che in televisione abbiamo sentito molte volte e con i quali ci siamo sentiti d'accordo, ma che qui in questa sera d'estate riprendono vigore e danno forza. Sognare si può
D'estate si sa ci sono sagre, feste paesane, feste patronali, religiose, e di partito. In ogni caso si mangia, si beve, si ascolta musica, si balla e, se proprio si vuole, si partecipa a messe o dibattiti. Abbiamo scoperto nella tranquilla e vicina Villa Gordiani, che amo già perchè rientra in uno dei miei percorsi podistici, la festa locale di Sinistra e Libertà. In una calda serata estiva di luglio, in un parco del genere si sta bene e si gode di una certa arietta fresca ed inoltre i volontari del partito, come le vecchie feste dell'unità hanno insegnato, preparano carne alla brace ed altre specialità culinarie che insieme alla visita degli stand ti fanno passare una serata alternativa. Dal depliant informativo scopriamo un evento interessante a breve con Nichi Vendola, il procuratore Caselli e Francesco Forgione, ovviamente si parla di mafia. Torniamo dunque la settimana successiva, ma stavolta le persone sono tante, c'è una ressa incredibile per mangiare e non si trovano tavoli. La festa non è calibrata per un evento di così importante spessore, ma ci si adatta. C'è uno spiegamento di forze di polizia attorno al procuratore, che lo guarda e lo protegge : certo che vivere così tutti i giorni non ti permette di dimenticare qual'è la tua professione ; in questo caso non è piu' solo una professione ma è la vita completa. I tre mangiano in un tavolo vicino al nostro e li osserviamo in gesti comuni quali tagliare una bistecca o inforcare un piatto di pasta. A noi il pasto arriva molto piu' tardi, i "camerieri" perdono la bussola. Ma non importa, veniamo al dibattito che è molto appassionante poichè dai conferenzieri fuoriesce passione e sentimento, è facile esserne coinvolti. L'argomento è la criminalità organizzata ed il suo rapporto con lo stato che già di per sè è intrigante. E i nostri non si risparmiano. Si parla di Andreotti, di decreto di legge sulle intercettazioni, di “verità condivise” sulle stragi, dello stato attuale della Magistratura. Caselli spiega perché la giustizia è lenta ; sono stati ridotti del trenta per cento i cancellieri, molti processi sono rinviati per cavilli allucinanti, ne racconta alcuni molto esemplificativi, che rendono facile rimandare ad oltranza il processo. Ironizza sul fatto che questa condizione della giustizia sia voluta per interessi di politici o uomini di potere. Conclude "La mafia non è ancora altro da noi” Un discorso di grande fascino ma che rivela la grande fragilità dei magistrati in questa che sembra una lotta contro i mulini a vento. Vendola parla di militanza del politico contro la mafia, racconta la sua esperienza tra le strade e i paesi della Sicilia, l'amicizia con Forgione e con Caselli e ricorda uomini come Peppino Impastato, parla invece della Moratti che "si è stupita quando ha scoperto che la ‘Ndragheta era ormai radicata nella sua città!”. Ribadisce che la mafia è anzitutto una cultura e via dicendo. Discorsi che in televisione abbiamo sentito molte volte e con i quali ci siamo sentiti d'accordo, ma che qui in questa sera d'estate riprendono vigore e danno forza. Sognare si può
18.7.10
Letto da grandi è tutta un'altra cosa
Le avventure di Pinocchio di Collodi
Ad un certo punto della mia vita mi sono accorto di non aver letto mai per intero "Le avvventure di Pinocchio. Avevo visto lo sceneggiato televisivo, i vari cartoni animati, posseduto un Pinocchio di gomma con luce incorporata, ma non ricordo di aver avuto il libro tra le mani. Sicuramente ricordo ammonimenti ricevuti da piccolo del tipo "Non dire bugie altrimenti ti cresce il naso come Pinocchio!" e via di seguito. Pinocchio è alla base dell'educazione della mia generazione, ma non ha avuto molto effetto : i bambini buoni e ubbidienti erano già pochi all'epoca e col tempo se ne sono persi molti altri. Diciamo che solo i piu' ingenui sono stati traviati dal burattino di legno, ma non è un grosso male che ci sia ancora chi non racconta menzogne a causa di letture giovanili. Il libro "Le avventure di Pinocchio", scritto da Collodi, è altro dall'immagine edulcorata della versione disneyana che se n'è impadronita; esso è in realtà un libro per grandi con assassini, ladri, morti e colpi di scena che farebbero impallidire anche Tarantino. Ed una delle frasi storiche del mio professore di matematica del liceo era proprio questa " Pinocchio letto da grandi è tutta un'altra cosa". Il primo livello di lettura, quello della storia in sè è proprio piacevole: favola, magia, scoperta, fantasia, noir. Personaggi meravigliosi tra l'umano e l'animale come il grillo parlante, Mangiafuoco, Lucignolo, la Bella Bambina dai Capelli Turchini, il Gatto e la Volpe, il giudice Acchiappacitrulli, il pescecane (che non è una "balena"). Luoghi del subconscio come il Gran Teatro dei Burattini, il Campo dei Miracoli, l'osteria del Gambero Rosso, il paese delle Api industriose, il mitico Paese dei Balocchi. Per il resto gli sono state affibiate le letture piu' disparate, le piu' assurde da quella ovvia pedagogica a quelle psicologiche, politiche o religiose che non fanno altro che confermare la peculiarità dell'opera. Pinocchio è anche un simbolo disincato di ribellione ai canoni della società ottocentesca, che viene sì piegato, ma che ci prova in ogni modo. Per l'infanzia invece credo sia un pò inadeguato, troppo inquietante e troppo strumentalizzato. A tutto ciò aggiungiamo una citazione delle illustrazioni originali di Mazzanti che danno un contributo quasi "gotico" al racconto. Per finire come non ricordare Calvino che parlava di ritmo e sintassi delle immagini e metamorfosi che fanno sì che ogni episodio segua l'altro in una concatenazione propulsiva, o della duttilità con cui il romanzo si offre alla perpetua collaborazione del lettore. Questo ha dato un successo internazionale al libro.
Ad un certo punto della mia vita mi sono accorto di non aver letto mai per intero "Le avvventure di Pinocchio. Avevo visto lo sceneggiato televisivo, i vari cartoni animati, posseduto un Pinocchio di gomma con luce incorporata, ma non ricordo di aver avuto il libro tra le mani. Sicuramente ricordo ammonimenti ricevuti da piccolo del tipo "Non dire bugie altrimenti ti cresce il naso come Pinocchio!" e via di seguito. Pinocchio è alla base dell'educazione della mia generazione, ma non ha avuto molto effetto : i bambini buoni e ubbidienti erano già pochi all'epoca e col tempo se ne sono persi molti altri. Diciamo che solo i piu' ingenui sono stati traviati dal burattino di legno, ma non è un grosso male che ci sia ancora chi non racconta menzogne a causa di letture giovanili. Il libro "Le avventure di Pinocchio", scritto da Collodi, è altro dall'immagine edulcorata della versione disneyana che se n'è impadronita; esso è in realtà un libro per grandi con assassini, ladri, morti e colpi di scena che farebbero impallidire anche Tarantino. Ed una delle frasi storiche del mio professore di matematica del liceo era proprio questa " Pinocchio letto da grandi è tutta un'altra cosa". Il primo livello di lettura, quello della storia in sè è proprio piacevole: favola, magia, scoperta, fantasia, noir. Personaggi meravigliosi tra l'umano e l'animale come il grillo parlante, Mangiafuoco, Lucignolo, la Bella Bambina dai Capelli Turchini, il Gatto e la Volpe, il giudice Acchiappacitrulli, il pescecane (che non è una "balena"). Luoghi del subconscio come il Gran Teatro dei Burattini, il Campo dei Miracoli, l'osteria del Gambero Rosso, il paese delle Api industriose, il mitico Paese dei Balocchi. Per il resto gli sono state affibiate le letture piu' disparate, le piu' assurde da quella ovvia pedagogica a quelle psicologiche, politiche o religiose che non fanno altro che confermare la peculiarità dell'opera. Pinocchio è anche un simbolo disincato di ribellione ai canoni della società ottocentesca, che viene sì piegato, ma che ci prova in ogni modo. Per l'infanzia invece credo sia un pò inadeguato, troppo inquietante e troppo strumentalizzato. A tutto ciò aggiungiamo una citazione delle illustrazioni originali di Mazzanti che danno un contributo quasi "gotico" al racconto. Per finire come non ricordare Calvino che parlava di ritmo e sintassi delle immagini e metamorfosi che fanno sì che ogni episodio segua l'altro in una concatenazione propulsiva, o della duttilità con cui il romanzo si offre alla perpetua collaborazione del lettore. Questo ha dato un successo internazionale al libro.
C'era una volta...
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr'Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura.
6.7.10
Tamburino antinazista
Il tamburo di latta di Gunther Grass
Quest'estate ce ne andiamo a Danzica. Nella città polacca che in passato è stata prussiana, ha goduto di un governo autonomo, è stata occupata dal terzo reich per tornare infine alla Polonia, si svolgono le vicende del libro che ho appena letto con grande piacere. Il Tamburo di latta di Gunter Grass è un'opera importante, densa, lunga, ma veramente deliziosa. Essa narra le vicende di un piccolo tamburino che reagisce a suo modo nei confronti dei tristi fenomeni storici del novecento. Decide di non crescere piu' : "I don't wonna grow up" come nella canzone di Tom Waits. Oscar Matzerath a tre anni smette di aumentare la sua statura, ma non la sua materia cerebrale. L'altra sua arma contro le convenzioni della società borghese è il tamburino che rullato a dovere riesce a rompere i vetri delle case, delle scuole, delle chiese. Nel libro si scorrono pagine di storia, attraverso un mondo fatto di fantasia, visionarietà, metafora, frutto di una mente di grande genialità. Rimangono impresse, grazie al loro potere evocativo, le svariate immagini simboliche di cui rigurgita l'opera. Come non ricordare le quattro gonne della nonna, la statua di Gesù bambino col tamburino al collo, l'eroica difesa della posta polacca, la Cantina delle Cipolle, le partite a skat,il cimitero di Saspe, il negozio di generi coloniali, la testa di cavallo con le anguille dentro, la cuoca nera. Restano impressi anche i personaggi tutti fortemente caratterizzati dalla mamma adultera ai due padri Matzerat e Jan Bronski, e poi Shugger Leo, Herbert Truckczinski e le sue cicatrici, Bebra discendente del principe Eugenio, fino alle amanti, l'esperta signora Gretchen, la piccola Raguna, e l'amore della vita Maria. Un intero album fotografico di caratteri, odori, colori differenti. I sensi sono coinvolti globalmente nella lettura, e dopo qualche senso iniziale di straniamento ci si lascia coinvolgere da questa favola storica. Non è un caso che vi abbiano tratto un film di successo, la pellicola è già impressa dopo una lettura. Il tamburo di latta non è una passeggiata per la complessità del racconto, lo stile un pò barocco, ma dopo un pò ci si appassiona. Ci si affeziona a Oskar, ai suoi eccessi, alla sua dolcezza, alla sua ironia, al suo modo di vedere il mondo. Oscar è un comico, un satiro, un folletto cattivo, un amante lussurioso, un bambino incompreso, un rivoluzionario, è un eroe del nostro tempo. La lettura di questo romanzo non lascia affatto indifferenti. Consigliatissimo.
Concludo con qualche passaggio :
il tamburo dei tre anni :
Quest'estate ce ne andiamo a Danzica. Nella città polacca che in passato è stata prussiana, ha goduto di un governo autonomo, è stata occupata dal terzo reich per tornare infine alla Polonia, si svolgono le vicende del libro che ho appena letto con grande piacere. Il Tamburo di latta di Gunter Grass è un'opera importante, densa, lunga, ma veramente deliziosa. Essa narra le vicende di un piccolo tamburino che reagisce a suo modo nei confronti dei tristi fenomeni storici del novecento. Decide di non crescere piu' : "I don't wonna grow up" come nella canzone di Tom Waits. Oscar Matzerath a tre anni smette di aumentare la sua statura, ma non la sua materia cerebrale. L'altra sua arma contro le convenzioni della società borghese è il tamburino che rullato a dovere riesce a rompere i vetri delle case, delle scuole, delle chiese. Nel libro si scorrono pagine di storia, attraverso un mondo fatto di fantasia, visionarietà, metafora, frutto di una mente di grande genialità. Rimangono impresse, grazie al loro potere evocativo, le svariate immagini simboliche di cui rigurgita l'opera. Come non ricordare le quattro gonne della nonna, la statua di Gesù bambino col tamburino al collo, l'eroica difesa della posta polacca, la Cantina delle Cipolle, le partite a skat,il cimitero di Saspe, il negozio di generi coloniali, la testa di cavallo con le anguille dentro, la cuoca nera. Restano impressi anche i personaggi tutti fortemente caratterizzati dalla mamma adultera ai due padri Matzerat e Jan Bronski, e poi Shugger Leo, Herbert Truckczinski e le sue cicatrici, Bebra discendente del principe Eugenio, fino alle amanti, l'esperta signora Gretchen, la piccola Raguna, e l'amore della vita Maria. Un intero album fotografico di caratteri, odori, colori differenti. I sensi sono coinvolti globalmente nella lettura, e dopo qualche senso iniziale di straniamento ci si lascia coinvolgere da questa favola storica. Non è un caso che vi abbiano tratto un film di successo, la pellicola è già impressa dopo una lettura. Il tamburo di latta non è una passeggiata per la complessità del racconto, lo stile un pò barocco, ma dopo un pò ci si appassiona. Ci si affeziona a Oskar, ai suoi eccessi, alla sua dolcezza, alla sua ironia, al suo modo di vedere il mondo. Oscar è un comico, un satiro, un folletto cattivo, un amante lussurioso, un bambino incompreso, un rivoluzionario, è un eroe del nostro tempo. La lettura di questo romanzo non lascia affatto indifferenti. Consigliatissimo.
Concludo con qualche passaggio :
il tamburo dei tre anni :
[...] mi attenni al tamburo, e dal mio terzo compleanno in poi non crebbi di un dito, rimasi il bambino di tre anni, ma anche il tre volte furbo, che tutti gli adulti sorpassavano in altezza, ma che a tutti gli adulti doveva essere tanto superiore, che non avrebbe voluto misurare neanche la propria ombra con la loro, che di mente e di corpo era ormai un uomo fatto, mentre quelli ancora da vegliardi dovevano preoccuparsi del loro sviluppo, che non faceva altro che farsi confermare quello che essi a fatica e spesso dolorosamente dovevano sperimentare, che di anno in anno non aveva bisogno di scarpe e di calzoni più grandi per dimostrare che qualcosa in lui cresceva."dolce con Maria
"Ascolta, Maria ti faccio una bella proposta: potrei comprarmi un compasso e tracciare un cerchio attorno a noi, misurare col medesimo compasso l'inclinazione del tuo collo mentre tu leggi, cuci, o, come adesso, giri la manopola della mia radio portatile. [...] Una bella proposta: potrei farmi vaccinare gli occhi ed essi verserebbero ancora qualche lacrima. Volentieri Oskar pregherebbe il macellaio qui all'angolo di passargli il cuore nel tritacarne se tu facessi altrettanto della tua anima. Potremmo anche comperarci un animale di stoppa e porlo tra noi due, lieti di vederlo stare tranquillo. Se mi procurassi dei lombrichi e tu avessi pazienza, potremmo andare a pescare ed essere felici. O la polverina effervescente di quella volta...ti ricordi? Tu mi chiami asperula, io divento effervescente, tu chiedi ancora di me e io ti accontento - la polverina, Maria, una bella proposta!"la mitica Cantina delle Cipolle
Ma nella cantina di Schmuh non c'erano né le une né l'altro, non c'era niente da mangiare, e chi voleva mangiare qualcosa doveva andare altrove, al "Pesciolino" per esempio, e non nella "Cantina delle Cipolle," perché lì si affettavano soltanto cipolle. E perché? Perché la cantina si chiamava così ed era qualcosa di speciale, perché le cipolle, le cipolle affettate, a ben guardare ...
No, i clienti di Schmuh, o almeno alcuni di essi, non vedevano più niente, i loro occhi straripavano, e non perché avessero i cuori così gonfi; perché non è detto che gli occhi debbano straripare quando il cuore è gonfio: molti non ci arrivano mai, specialmente da qualche decennio in qua, e perciò il nostro secolo verrà chiamato in futuro il secolo senza lacrime, benché vi sia ovunque tanta sofferenza.
E proprio per questa carenza di lacrime la gente che poteva permetterselo andava nella cantina di Schmuh. Si faceva servire dal padrone una tavoletta - maiale o pesce - e un coltello da cucina per ottanta pfennig, e una volgare cipolla da cucina di giardino o di campo per dodici marchi, la tagliava sempre più piccola, finché il succo produceva il suo effetto. Quale effetto? Quello che il mondo e il dolore del mondo non producevano più: la rotonda lacrima umana. Allora si piangeva. Si tornava finalmente a piangere. Si piangeva con decenza, si piangeva senza inibizioni, si piangeva sfrenatamente. Il flusso scorreva e dilagava. Arrivava la pioggia. Cadeva la rugiada. A Oskar venivano in mente chiuse che si aprivano. Dighe infrante dall'alta marea. Ma come si chiama quel fiume che straripa ogni anno, senza che il governo ci faccia niente?
E, dopo il fenomeno naturale da dodici marchi e ottanta, l'uomo che ha esaurito le sue lacrime parla. Ancora esitanti, stupiti dei loro nudo linguaggio, i clienti della "Cantina," dopo la degustazione delle cipolle, si abbandonavano ai loro vicini, sulle scomode casse dalla fodera ruvida, si lasciavano interrogare, rivoltare come cappotti.
4.6.10
Fontane e acquazzoni
Gita a villa d'Este
Nonostante le minacce piovose di una primavera poco consona alle uscite fuori porta forziamo la mano e decidiamo di osare la gita a Tivoli per vedere Villa D'Este. Ci sono stato in quinta elementare ed è ora di ritornarci. Le nuvole danno contribuiscono a dare una luce argentata al paesaggio. La villa è situata nella parte alta del paese accanto al centro storico. Non si fa fatica a raggiungerla, ma occorre chiedere qualche informazione ai passanti. La dimora estense è introdotta da una piazzetta con una bella chiesetta che sembra antica, ma non siamo qui per questo, casomai dopo. Veniamo al palazzo che è imponente ed ampiamente decorato. C'è un bel chiostro appena si entra, ma visto il tempo è meglio scendere giu' per visitare il giardino. Da una bella scala con loggia si arriva in quello che già dall'alto appare come un bel posto dove scorrazzare su e giu' come amava fare Ippolito D'Este. Scegliamo un percorso, tra i tanti possibili e scopriamo una ad una le tante fontane, aiuole e statue. Ce n'è una enorme,la fontana dell'Organo, con maestose decorazioni barocche dalla quale ad orari predeterminate esce una musichetta graziosa. Zampilli, getti, gorgoglii di acque da ogni dove. C'è bisogno di una mezz'oretta per visitarle tutte, ma è piacevole restarci un pò di piu'. Così si gira tra personaggi mitologici con la fontana di Nettuno, quella di Proserpina o quella tettuta della Dea Natura. Si giunge quindi alla Rometta, la dea Roma, con la Lupa e una bella barca molto scenografiche. Infine si percorre il corridoio delle cento fontane, ma di fretta che qualche goccia inizia a cadere. Dopo avere faticosamente ripercorso le ripide scale che ci riportano al palazzo del cardinale, torniamo ad approfondire il giro delle sale affrescate e terminiamo, visto che fuori c'è il diluvio con il video della casa sulla storia di Villa d'Este. Non male. Il diluvio continua ancora e la strada verso casa diventa un'avventura, scarsa visibilità, grandine e pozzanghere, ma a Roma ci aspetta il sole.
Nonostante le minacce piovose di una primavera poco consona alle uscite fuori porta forziamo la mano e decidiamo di osare la gita a Tivoli per vedere Villa D'Este. Ci sono stato in quinta elementare ed è ora di ritornarci. Le nuvole danno contribuiscono a dare una luce argentata al paesaggio. La villa è situata nella parte alta del paese accanto al centro storico. Non si fa fatica a raggiungerla, ma occorre chiedere qualche informazione ai passanti. La dimora estense è introdotta da una piazzetta con una bella chiesetta che sembra antica, ma non siamo qui per questo, casomai dopo. Veniamo al palazzo che è imponente ed ampiamente decorato. C'è un bel chiostro appena si entra, ma visto il tempo è meglio scendere giu' per visitare il giardino. Da una bella scala con loggia si arriva in quello che già dall'alto appare come un bel posto dove scorrazzare su e giu' come amava fare Ippolito D'Este. Scegliamo un percorso, tra i tanti possibili e scopriamo una ad una le tante fontane, aiuole e statue. Ce n'è una enorme,la fontana dell'Organo, con maestose decorazioni barocche dalla quale ad orari predeterminate esce una musichetta graziosa. Zampilli, getti, gorgoglii di acque da ogni dove. C'è bisogno di una mezz'oretta per visitarle tutte, ma è piacevole restarci un pò di piu'. Così si gira tra personaggi mitologici con la fontana di Nettuno, quella di Proserpina o quella tettuta della Dea Natura. Si giunge quindi alla Rometta, la dea Roma, con la Lupa e una bella barca molto scenografiche. Infine si percorre il corridoio delle cento fontane, ma di fretta che qualche goccia inizia a cadere. Dopo avere faticosamente ripercorso le ripide scale che ci riportano al palazzo del cardinale, torniamo ad approfondire il giro delle sale affrescate e terminiamo, visto che fuori c'è il diluvio con il video della casa sulla storia di Villa d'Este. Non male. Il diluvio continua ancora e la strada verso casa diventa un'avventura, scarsa visibilità, grandine e pozzanghere, ma a Roma ci aspetta il sole.
31.5.10
Dura la vita, ma indietro non si torna
La nostra vita di Daniele Lucchetti
Ancora una volta un bel film di Lucchetti. Ci piace sempre quest'autore che ha sempre uno sguardo sincero sulla realtà che rappresenta. Questa volta si sposta nella nuova periferia urbana, la Roma di Ponte di Nona, un quartiere enorme nato in pochi anni attorno ad un centro commerciale. Un quartiere di case nuove neanche troppo brutte che non può far di certo pensare alle degradate periferie del dopoguerra, ma di quelle conserva la lontananza con la centralità amministrativa. Difatti qui non c'è una scuola, una fermata del treno, una caserma dei carabinieri e raggiungere Roma è impegnativo. La città, a causa della speculazione edilizia, si svuota, alimentando questi nuovi quartieri senza servizi. "La nostra vita" oltre a ciò osserva la condizione del lavoro in questi grandi cantieri, popolati di imprenditori senza scrupoli e lavoratori, in gran parte extracomunitari, sfruttati. In questo contesto si installa la storia del bravissimo Elio Germano alle prese con una tragedia immane. Tutto viene sconvolto, il lavoro, la famiglia, il rapporto con gli altri. Ma la vita va avanti ed in qualche modo bisogna pur campare. L'iniziale traccia di commedia proletaria, c'è qualche battuta, si fa qualche risata, lascia spazio ad un film duro da digerire e forte da vivere. E il regista riesce a non far sentire troppo la sua mano, lasciandoci vivere la realtà cosi com'è, senza tesi precostituite da proporre. Molto bravi tutti gli attori, utilizzati a volte in ruoli per loro atipici, come Raoul Bova alle prese con un giovanotto timido, con difficoltà nell'approccio con l'altro sesso, o Luca Zingaretti in quello di un simpatico usuraio disabile, alla sempre brava Ragonese che purtroppo termina subito la sua parte, fino al bravissimo ragazzo rumeno che ha un personaggio chiave nella storia. Attraverso gli occhi di questo giovane, che conserva uno sguardo puro sul mondo, si ha un punto di vista piu' umano e meno corrotto dallo stile di vita moderno. Una speranza per il futuro.
Ancora una volta un bel film di Lucchetti. Ci piace sempre quest'autore che ha sempre uno sguardo sincero sulla realtà che rappresenta. Questa volta si sposta nella nuova periferia urbana, la Roma di Ponte di Nona, un quartiere enorme nato in pochi anni attorno ad un centro commerciale. Un quartiere di case nuove neanche troppo brutte che non può far di certo pensare alle degradate periferie del dopoguerra, ma di quelle conserva la lontananza con la centralità amministrativa. Difatti qui non c'è una scuola, una fermata del treno, una caserma dei carabinieri e raggiungere Roma è impegnativo. La città, a causa della speculazione edilizia, si svuota, alimentando questi nuovi quartieri senza servizi. "La nostra vita" oltre a ciò osserva la condizione del lavoro in questi grandi cantieri, popolati di imprenditori senza scrupoli e lavoratori, in gran parte extracomunitari, sfruttati. In questo contesto si installa la storia del bravissimo Elio Germano alle prese con una tragedia immane. Tutto viene sconvolto, il lavoro, la famiglia, il rapporto con gli altri. Ma la vita va avanti ed in qualche modo bisogna pur campare. L'iniziale traccia di commedia proletaria, c'è qualche battuta, si fa qualche risata, lascia spazio ad un film duro da digerire e forte da vivere. E il regista riesce a non far sentire troppo la sua mano, lasciandoci vivere la realtà cosi com'è, senza tesi precostituite da proporre. Molto bravi tutti gli attori, utilizzati a volte in ruoli per loro atipici, come Raoul Bova alle prese con un giovanotto timido, con difficoltà nell'approccio con l'altro sesso, o Luca Zingaretti in quello di un simpatico usuraio disabile, alla sempre brava Ragonese che purtroppo termina subito la sua parte, fino al bravissimo ragazzo rumeno che ha un personaggio chiave nella storia. Attraverso gli occhi di questo giovane, che conserva uno sguardo puro sul mondo, si ha un punto di vista piu' umano e meno corrotto dallo stile di vita moderno. Una speranza per il futuro.
24.5.10
Architettura fascista
Visita all'Inps e all'Eur
Ogni volta che arrivo all'Eur provo un'emozione. Dopo l'ultima curva della Cristoforo Colombo che anticipa piazza Marconi si apre uno scenario di grande impatto. Le bianche costruzioni che si ingrandiscono a mano a mano che ci avviciniamo sono un set cinematografico ideale. Questa volta non andiamo al Palazzo dei Congressi come ci capita ad esempio a marzo, per l'iscrizione alla maratona di Roma o a dicembre, per la fiera della piccola e media editoria. La scusa di questa volta è una speciale visita al palazzo dell'INPS. In questo fine settimana è possibile visitare la sede storica con una collezione di dipinti di proprietà dell'ente. Per la verità queste tele non sono granchè, pezzi del 1963 acquisiti per un concorso per giovani autori e qualche altra opera piu' antica, ma di poco migliore. Quello che ci interessa è la struttura in sè, a livello architettonico. Della visita ricordiamo la sala riunione rotonda con l'ampia vetrata che da su Piazza Marconi, le scale di metallo, le rifiniture con la scritta inps, gli ampi corridoi, i marmi con i bassorilievi presenti all'esterno, ed alcuni interessanti mosaici dell'epoca. E pensare che durante il fascismo si è costruito con un certo criterio e "gusto" che può non piacere, ma ha una sua logica. Se decontestualizziamo le opere del ventennio dimenticandoci del duce (operazione quasi impossibile) le possiamo valutare da un punto di vista estetico urbanistico, osservando il grande rigore formale, la maestosità, la bellezza decadente. Il quartiere dell'esposizione mancata del '42 è il massimo livello dell'architettura razionalista che, già presente in Italia in epoca Giolittiana, sicuramente durante il fascismo ha avuto modo di esplicarsi adeguandosi allo stile celebrativo del regime, ma rimanendo comunque interessante. Non inoltriamoci in diquisizioni tra l'architettura e la storia e la sociologia, ma proseguiamo con la nostra passeggiata, uscendo dalla mostra, attraversando il mercatino di antiquariato allestito davanti all'affascinante palazzo della civiltà e del lavoro. Chi è appassionato di queste chincagliere avrà facilità nel trovare qualche oggettino da incamerare. Noi guardiamo e passiamo oltre, saltando il caffè Palombini, quello dei fighetti, e raggiungendo l'argine interno del laghetto artificiale dell'Eur. Ma fa troppo caldo....
Ogni volta che arrivo all'Eur provo un'emozione. Dopo l'ultima curva della Cristoforo Colombo che anticipa piazza Marconi si apre uno scenario di grande impatto. Le bianche costruzioni che si ingrandiscono a mano a mano che ci avviciniamo sono un set cinematografico ideale. Questa volta non andiamo al Palazzo dei Congressi come ci capita ad esempio a marzo, per l'iscrizione alla maratona di Roma o a dicembre, per la fiera della piccola e media editoria. La scusa di questa volta è una speciale visita al palazzo dell'INPS. In questo fine settimana è possibile visitare la sede storica con una collezione di dipinti di proprietà dell'ente. Per la verità queste tele non sono granchè, pezzi del 1963 acquisiti per un concorso per giovani autori e qualche altra opera piu' antica, ma di poco migliore. Quello che ci interessa è la struttura in sè, a livello architettonico. Della visita ricordiamo la sala riunione rotonda con l'ampia vetrata che da su Piazza Marconi, le scale di metallo, le rifiniture con la scritta inps, gli ampi corridoi, i marmi con i bassorilievi presenti all'esterno, ed alcuni interessanti mosaici dell'epoca. E pensare che durante il fascismo si è costruito con un certo criterio e "gusto" che può non piacere, ma ha una sua logica. Se decontestualizziamo le opere del ventennio dimenticandoci del duce (operazione quasi impossibile) le possiamo valutare da un punto di vista estetico urbanistico, osservando il grande rigore formale, la maestosità, la bellezza decadente. Il quartiere dell'esposizione mancata del '42 è il massimo livello dell'architettura razionalista che, già presente in Italia in epoca Giolittiana, sicuramente durante il fascismo ha avuto modo di esplicarsi adeguandosi allo stile celebrativo del regime, ma rimanendo comunque interessante. Non inoltriamoci in diquisizioni tra l'architettura e la storia e la sociologia, ma proseguiamo con la nostra passeggiata, uscendo dalla mostra, attraversando il mercatino di antiquariato allestito davanti all'affascinante palazzo della civiltà e del lavoro. Chi è appassionato di queste chincagliere avrà facilità nel trovare qualche oggettino da incamerare. Noi guardiamo e passiamo oltre, saltando il caffè Palombini, quello dei fighetti, e raggiungendo l'argine interno del laghetto artificiale dell'Eur. Ma fa troppo caldo....
18.5.10
Consenso e potere
Draquila di Sabina Guzzanti
Ha avuto un tappeto rosso stesogli innanzi dalle polemiche che, dal tempo della preparazione del film fino alle dichiarazioni dell'insulso Bondi, si sono scatenate a riguardo. Ma il successo di Draquila non è solo dovuto al marketing televisivo. Esso è un buon lavoro anche dal punto di vista artistico, oltre che giornalistico e satirico. La Guzzanti ha realizzato un film alla maniera di Michael Moore, cioè un'inchiesta forte, con delle tesi pesanti, chiare, che si leggono spesso sui giornali ma che lei è riuscita a sintetizzare con delle immagini significative. Draquila infatti non è solo un film su L'Aquila e sull'autoritaria gestione del terremoto da parte della protezione civile. La tesi è piu' generale : c'è un sistema di potere instaurato dal presidente del consiglio che attaverso eventi quali il terremoto trova modo per fare affari e allo stesso momento ottenere consenso. Per Berlusconi, il terremoto è stata una manna dal cielo per risalire nei sondaggi dopo il caso Noemi. Inoltre, ancora una volta, si è scatenata la macchina della Protezione civile e sono stati dati «poteri speciali all'uomo speciale» Guido Bertolaso, il braccio operativo del presidente del Consiglio. Efficienza e affari. Tutto senza che i cittadini aquilani siano stati mai stati consultati sul destino proprio e della propria città. Tutte queste tesi sono state ampiamente scritte sui giornali seri, ma riassunte e ordinate, assemblate con sagacia in un film documento che utilizza anche la satira per rendere piu' digeribile l'amara medicina è di importante incisività. E forse la brava artista, che ha spesso le porte chiuse in faccia sul piccolo schermo, ha trovato l'occasione di dire la sua, oltre che una maniera che piu' le si confà per esprimere tutto il suo valore.
Ha avuto un tappeto rosso stesogli innanzi dalle polemiche che, dal tempo della preparazione del film fino alle dichiarazioni dell'insulso Bondi, si sono scatenate a riguardo. Ma il successo di Draquila non è solo dovuto al marketing televisivo. Esso è un buon lavoro anche dal punto di vista artistico, oltre che giornalistico e satirico. La Guzzanti ha realizzato un film alla maniera di Michael Moore, cioè un'inchiesta forte, con delle tesi pesanti, chiare, che si leggono spesso sui giornali ma che lei è riuscita a sintetizzare con delle immagini significative. Draquila infatti non è solo un film su L'Aquila e sull'autoritaria gestione del terremoto da parte della protezione civile. La tesi è piu' generale : c'è un sistema di potere instaurato dal presidente del consiglio che attaverso eventi quali il terremoto trova modo per fare affari e allo stesso momento ottenere consenso. Per Berlusconi, il terremoto è stata una manna dal cielo per risalire nei sondaggi dopo il caso Noemi. Inoltre, ancora una volta, si è scatenata la macchina della Protezione civile e sono stati dati «poteri speciali all'uomo speciale» Guido Bertolaso, il braccio operativo del presidente del Consiglio. Efficienza e affari. Tutto senza che i cittadini aquilani siano stati mai stati consultati sul destino proprio e della propria città. Tutte queste tesi sono state ampiamente scritte sui giornali seri, ma riassunte e ordinate, assemblate con sagacia in un film documento che utilizza anche la satira per rendere piu' digeribile l'amara medicina è di importante incisività. E forse la brava artista, che ha spesso le porte chiuse in faccia sul piccolo schermo, ha trovato l'occasione di dire la sua, oltre che una maniera che piu' le si confà per esprimere tutto il suo valore.
3.5.10
Giovani dentro
Concertone del primo maggio
Il primo maggio è molto adatto alla scampagnata, all'uscita fuori porta, o ad un viaggio di piu' giorni sfruttando, se capita, un ponte. Ma se, per un motivo o per un altro, per noia o per lavoro si rimane in città, una capatina al concertone non è una pessima idea. L'occasione è anche buona per fare due passi dalle parti de via Merulana, quella der Pasticciaccio, o svirgolare un pò verso l'Esquilino. Si va nel tardo pomeriggio che sennò non si regge fino a sera. Fa sempre uno strano effetto tuffarsi in questo mondo fatto di musica che si sente da un chilometro di distanza, da una marea umana che si muove, beve, fuma e fa pipì. Da una parte una serie di furgoncini che riscaldano montagne di panini con salsiccia, nella calca una mandria di ambulanti che si fanno strada energicamente trasportando un carretto di lattine e ghiaccio . Gente ubriaca, fumata, tatuata, inanellata, griffata, quasi tutti ragazzini o poco piu'. L'eccesso è giovane si sa. Si ha il tempo di ascoltare qualche scampolo di un gruppo sconosciuto che si va in pausa. Questa è l'occasione per fuggire un pò dal caos, e se ne sente il bisogno nonostante si stia ai margini della piazza. Rifocillati e ristorati mentalmente si torna al concertone in un'atmosfera che nel frattempo è cambiata. Ci accorgiamo del palco e degli schermi luminosi installati che lo rendono uno dei piu' belli degli ultimi tempi. L'effetto è molto piacevole e il primo artista, Paolo Nutini, canta qualcosa di allegro che rende festosa la serata. A seguire Carmen Consoli che a me non è mai dispiaciuta e dal vivo è sempre brava. Ci guardiamo attorno, l'età media è cresciuta e l'oscurità attenua le differenze. Finalmente i Baustelle, che riescono ad essere orecchiabili e raffinati allo stesso tempo, si inizia a cantare a voce alta. E poi l'exploit di Vinicio Capossela che come sempre allestisce quello che non è un semplice concerto ma una rappresentazione in musica. Coinvolti dalla musica, si salta, si balla, si canta, si suda, ci si emoziona. Una bella serata, peccato che i tram terminano presto il loro servizio.
Il primo maggio è molto adatto alla scampagnata, all'uscita fuori porta, o ad un viaggio di piu' giorni sfruttando, se capita, un ponte. Ma se, per un motivo o per un altro, per noia o per lavoro si rimane in città, una capatina al concertone non è una pessima idea. L'occasione è anche buona per fare due passi dalle parti de via Merulana, quella der Pasticciaccio, o svirgolare un pò verso l'Esquilino. Si va nel tardo pomeriggio che sennò non si regge fino a sera. Fa sempre uno strano effetto tuffarsi in questo mondo fatto di musica che si sente da un chilometro di distanza, da una marea umana che si muove, beve, fuma e fa pipì. Da una parte una serie di furgoncini che riscaldano montagne di panini con salsiccia, nella calca una mandria di ambulanti che si fanno strada energicamente trasportando un carretto di lattine e ghiaccio . Gente ubriaca, fumata, tatuata, inanellata, griffata, quasi tutti ragazzini o poco piu'. L'eccesso è giovane si sa. Si ha il tempo di ascoltare qualche scampolo di un gruppo sconosciuto che si va in pausa. Questa è l'occasione per fuggire un pò dal caos, e se ne sente il bisogno nonostante si stia ai margini della piazza. Rifocillati e ristorati mentalmente si torna al concertone in un'atmosfera che nel frattempo è cambiata. Ci accorgiamo del palco e degli schermi luminosi installati che lo rendono uno dei piu' belli degli ultimi tempi. L'effetto è molto piacevole e il primo artista, Paolo Nutini, canta qualcosa di allegro che rende festosa la serata. A seguire Carmen Consoli che a me non è mai dispiaciuta e dal vivo è sempre brava. Ci guardiamo attorno, l'età media è cresciuta e l'oscurità attenua le differenze. Finalmente i Baustelle, che riescono ad essere orecchiabili e raffinati allo stesso tempo, si inizia a cantare a voce alta. E poi l'exploit di Vinicio Capossela che come sempre allestisce quello che non è un semplice concerto ma una rappresentazione in musica. Coinvolti dalla musica, si salta, si balla, si canta, si suda, ci si emoziona. Una bella serata, peccato che i tram terminano presto il loro servizio.
26.4.10
Acropoli ciociare
Gita ad Alatri e Ferentino
Cerchiamo una nuova meta per la gitarella fuori porta domenicale. In ambito laziale abbiamo battuto quasi tutto il battibile, ma pensa che ti ripensa anche questa volta riusciamo a trovare dei posti da "studiare". Ci spingiamo in Ciociaria per scoprire due cittadine collocate su acropoli di tradizione greca. Alatri ha una disposizione estremamente adatta per una visita turistica. Basta trovare un parcheggio poco fuori dal centro storico e proseguire a piedi tra vicoli e palazzi. La tappa obbligata è la cima dell'acropoli, una vasta area sopraelevata su un colle sorretta da antichissime mura megalitiche molto ben conservate. Notevole la porta maggiore costituita da pietre gigantesche, ma trova attrazione anche la porta minore detta dei "falli" per delle, ormai deteriorate, rappresentazioni inneggianti alla fertilità. Oltre al panorama che offre la vista dall'alto, si può entrare in cattedrale che però non è il massimo visto che è il risultato di un restauro settecentesco. Dopo aver percorso a girotondo la base dell'acropoli, si può scendere nella bellissima piazza Santa Maria Maggiore. Su questa piazza sorgono due chiese ed il municipio, la trecentesca Santa Maria Maggiore ne costituisce il fulcro con il suo notevole rosone gotico. Alatri è molto ben curata e ristrutturata per benino. Al contrario Ferentino è una cittadina piu' cadente, decrepita, ma non per questo ha meno fascino, anzi. Anch'essa è collocata su un colle e possiede un'acropoli. Partiamo dal solito punto a caso ed entriamo a piedi attraverso una delle stradine lastricate che ci portano al centro storico. La prima felice sosta è un bar carino che serve un ottimo caffè. Proseguendo incontriamo una bella piazzetta, piazza Matteotti con un mercatino assai interessante. Di qui si aprono molte possibilità, si può salire, scendere o zigzagare. Scendiamo verso quella che l'indicazione turistica indica come "Porta Sanguinaria". Tra palazzine vetuste, poco o niente restaurate, giungiamo alla chiesa, anche qui, di Santa Maria Maggiore che, anche se in un angusta posizione, è molto suggestiva. E' in stile gotico-cistercense ed è interessante anche l'interno. Proseguendo sotto si giunge alla porta maggiore una costruzione antichissima ma il luogo circostante sembra quasi una discarica. Risalendo e riscendendo le stradine verso il teatro romano ci si imbatte in un quartiere di grande fascino popolato di gatti e di palazzine pericolanti. Non so se ristrutturandolo, trasformandolo cioè in attrazione turistica, conserverebbe la bellezza che è insita nelle cose vissute. Andiamo oltre e raggiungiamo la cosiddetta porta Sanguinaria, costruzione antica ristrutturata dai romani e nel medioevo e se ne vedo le tracce. Da qui si domina la valle del fiume Sacco. A questo punto si può solo risalire per raggiungere l'Acropoli, che a Ferentino è meno imponente di quella di Alatri, ma molto piu' ripida. In cima, oltre ad un tetro carcere, c'è una bella chiesa del 1100 dedicata a San Giovanni e Paolo. Una piccola sosta e si ridiscende dall'altro lato, incontrando quasi per caso un mercato Romano; ci fermiamo un attimo, è in corso di installazione una mostra fotografica su una missione umanitaria a Sarajevo durante la guerra, e ci meravigliamo di quante sorprese riserva questa cittadina.
Dunque Alatri piu' elegante, ma Ferentino piu' misteriosa.
Cerchiamo una nuova meta per la gitarella fuori porta domenicale. In ambito laziale abbiamo battuto quasi tutto il battibile, ma pensa che ti ripensa anche questa volta riusciamo a trovare dei posti da "studiare". Ci spingiamo in Ciociaria per scoprire due cittadine collocate su acropoli di tradizione greca. Alatri ha una disposizione estremamente adatta per una visita turistica. Basta trovare un parcheggio poco fuori dal centro storico e proseguire a piedi tra vicoli e palazzi. La tappa obbligata è la cima dell'acropoli, una vasta area sopraelevata su un colle sorretta da antichissime mura megalitiche molto ben conservate. Notevole la porta maggiore costituita da pietre gigantesche, ma trova attrazione anche la porta minore detta dei "falli" per delle, ormai deteriorate, rappresentazioni inneggianti alla fertilità. Oltre al panorama che offre la vista dall'alto, si può entrare in cattedrale che però non è il massimo visto che è il risultato di un restauro settecentesco. Dopo aver percorso a girotondo la base dell'acropoli, si può scendere nella bellissima piazza Santa Maria Maggiore. Su questa piazza sorgono due chiese ed il municipio, la trecentesca Santa Maria Maggiore ne costituisce il fulcro con il suo notevole rosone gotico. Alatri è molto ben curata e ristrutturata per benino. Al contrario Ferentino è una cittadina piu' cadente, decrepita, ma non per questo ha meno fascino, anzi. Anch'essa è collocata su un colle e possiede un'acropoli. Partiamo dal solito punto a caso ed entriamo a piedi attraverso una delle stradine lastricate che ci portano al centro storico. La prima felice sosta è un bar carino che serve un ottimo caffè. Proseguendo incontriamo una bella piazzetta, piazza Matteotti con un mercatino assai interessante. Di qui si aprono molte possibilità, si può salire, scendere o zigzagare. Scendiamo verso quella che l'indicazione turistica indica come "Porta Sanguinaria". Tra palazzine vetuste, poco o niente restaurate, giungiamo alla chiesa, anche qui, di Santa Maria Maggiore che, anche se in un angusta posizione, è molto suggestiva. E' in stile gotico-cistercense ed è interessante anche l'interno. Proseguendo sotto si giunge alla porta maggiore una costruzione antichissima ma il luogo circostante sembra quasi una discarica. Risalendo e riscendendo le stradine verso il teatro romano ci si imbatte in un quartiere di grande fascino popolato di gatti e di palazzine pericolanti. Non so se ristrutturandolo, trasformandolo cioè in attrazione turistica, conserverebbe la bellezza che è insita nelle cose vissute. Andiamo oltre e raggiungiamo la cosiddetta porta Sanguinaria, costruzione antica ristrutturata dai romani e nel medioevo e se ne vedo le tracce. Da qui si domina la valle del fiume Sacco. A questo punto si può solo risalire per raggiungere l'Acropoli, che a Ferentino è meno imponente di quella di Alatri, ma molto piu' ripida. In cima, oltre ad un tetro carcere, c'è una bella chiesa del 1100 dedicata a San Giovanni e Paolo. Una piccola sosta e si ridiscende dall'altro lato, incontrando quasi per caso un mercato Romano; ci fermiamo un attimo, è in corso di installazione una mostra fotografica su una missione umanitaria a Sarajevo durante la guerra, e ci meravigliamo di quante sorprese riserva questa cittadina.
Dunque Alatri piu' elegante, ma Ferentino piu' misteriosa.
12.4.10
Oltre Romeo e Giulietta
La terra sotto i suoi piedi di Salman Rushdie
Ho superato la paura che avevo di intraprendere letture di libri pesanti (nel senso della massa). Settecento pagine e piu' per "La terra sotto i suoi piedi" in tempi lontani le avrei rimandate a data da destinarsi. E così ho fatto per anni. Ma ora non ho piu' paura, anzi ora so che solo un libro grande può essere un grande libro. Ovviamente non basta, ma se uno scrittore è bravo e riesce a mantenere alto il livello della narrazione, la lettura ti resta appiccicata addosso anche molto tempo dopo la parola "FINE". Salman Rushdie, scrittore indiano, famoso per la storia della fatwa, ha realizzato un libro che è uno sterminato mondo di parole, di filosofie di vita, di ritmi rock, di personaggi bizzarri, di assurdità fantastiche. Oriente contro occidente, il mondo terreno contro quello ultraterreo, il mito contro il reale. E l'amore che vince sempre.... Perchè prima di tutto, il romanzo è una storia d'amore alla "Romeo e Giulietta", tempestata di riferimenti mitologici antichi e moderni. L'archetipo da cui trae origine è la storia oraziana di Orfeo e Euridice, sia per la presenza del terzo incomodo, tale Rai Merchant, il triangolo non l'avevo considerato, sia per la ricerca dell'amore fin dopo la morte, nell'aldilà. Gli iperuranici protagonisti Ormus Cama e Vina Apsara sono insuperabili per bellezza e armonia. Musicisti senza pari, muovono folle deliranti, fascino, carisma, trasgressione. Chi se non loro destinati a questo "folle" amore. Si incontrano, si perdono, si ritrovano, rimangono casti (fra loro) per dieci anni fino al matrimonio, e poi di nuovo appaiono distanti per l'isolamento di Ormus fino alla morte di Vina, nel terremoto di Città del Messico, ma non è ancora finita, l'amore va oltre. Tanti, troppi spunti in questo che è un romanzo infinito e strabarocco, che si svolge in tre città simboliche : l'indiana Bombay filo-inglese degli anni Quaranta e Cinquanta, la Londra dei favolosi anni Sessanta e la New York degli anni '70 e '80. Tre mondi, tre epoche. E poi troviamo di tutto, filosofia, mitologia classica e orientale, religioni antiche come lo zoroastrismo e poi incendi, suicidi, omicidi, terremoti distruttivi, musica rock, fotografia, allevamenti di capre, droghe, incidenti d'auto, coma, erotismo, cricket .. e altro ancora. La narrazione è affidata a Rai, amante di Vina, che non riuscirà mai a portare via ad Ormus. Ma sarà il rivelatore di questa grande storia. La lettura è avvincente anche se a volte assurda e incomprensibile, non si riesce sempre a stare sempre dietro alle manie linguistico-immaginarie dello scrittore. Ma inseguendolo lo si riprende e si possono godere, magari a tratti, delle belle emozioni. Ne è valsa la pena
Un pò di citazioni :
Ho superato la paura che avevo di intraprendere letture di libri pesanti (nel senso della massa). Settecento pagine e piu' per "La terra sotto i suoi piedi" in tempi lontani le avrei rimandate a data da destinarsi. E così ho fatto per anni. Ma ora non ho piu' paura, anzi ora so che solo un libro grande può essere un grande libro. Ovviamente non basta, ma se uno scrittore è bravo e riesce a mantenere alto il livello della narrazione, la lettura ti resta appiccicata addosso anche molto tempo dopo la parola "FINE". Salman Rushdie, scrittore indiano, famoso per la storia della fatwa, ha realizzato un libro che è uno sterminato mondo di parole, di filosofie di vita, di ritmi rock, di personaggi bizzarri, di assurdità fantastiche. Oriente contro occidente, il mondo terreno contro quello ultraterreo, il mito contro il reale. E l'amore che vince sempre.... Perchè prima di tutto, il romanzo è una storia d'amore alla "Romeo e Giulietta", tempestata di riferimenti mitologici antichi e moderni. L'archetipo da cui trae origine è la storia oraziana di Orfeo e Euridice, sia per la presenza del terzo incomodo, tale Rai Merchant, il triangolo non l'avevo considerato, sia per la ricerca dell'amore fin dopo la morte, nell'aldilà. Gli iperuranici protagonisti Ormus Cama e Vina Apsara sono insuperabili per bellezza e armonia. Musicisti senza pari, muovono folle deliranti, fascino, carisma, trasgressione. Chi se non loro destinati a questo "folle" amore. Si incontrano, si perdono, si ritrovano, rimangono casti (fra loro) per dieci anni fino al matrimonio, e poi di nuovo appaiono distanti per l'isolamento di Ormus fino alla morte di Vina, nel terremoto di Città del Messico, ma non è ancora finita, l'amore va oltre. Tanti, troppi spunti in questo che è un romanzo infinito e strabarocco, che si svolge in tre città simboliche : l'indiana Bombay filo-inglese degli anni Quaranta e Cinquanta, la Londra dei favolosi anni Sessanta e la New York degli anni '70 e '80. Tre mondi, tre epoche. E poi troviamo di tutto, filosofia, mitologia classica e orientale, religioni antiche come lo zoroastrismo e poi incendi, suicidi, omicidi, terremoti distruttivi, musica rock, fotografia, allevamenti di capre, droghe, incidenti d'auto, coma, erotismo, cricket .. e altro ancora. La narrazione è affidata a Rai, amante di Vina, che non riuscirà mai a portare via ad Ormus. Ma sarà il rivelatore di questa grande storia. La lettura è avvincente anche se a volte assurda e incomprensibile, non si riesce sempre a stare sempre dietro alle manie linguistico-immaginarie dello scrittore. Ma inseguendolo lo si riprende e si possono godere, magari a tratti, delle belle emozioni. Ne è valsa la pena
Un pò di citazioni :
Ma quello che io intendevo per amore, e quello che Ormus Cama - per esempio - intendeva con la stessa parola, erano due cose diverse. Per me era sempre un' arte, l'ars amatoria: il primo approccio, la rimozione delle ansie, la creazione dell'interesse, la finta pazienza, il lento e inesorabile ritorno. La pigra spirale interiore del desiderio. Kama. L' arte dell' amore.
Mentre per Ormus Cama era questione di vita e di morte. L'amore era per tutta la vita, e durava dopo la morte. L'amore era Vina, e dopo Vina non c'era nient' altro che il vuoto.
Tre di noi, da Bombay, presero la via dell'occidente. Dei tre fu Vina, per la quale era un viaggio di ritorno, la prima a sentire i morsi della fame spirituale del mondo occidentale, a restare intrappolata nei suoi abissi d'incertezza e a trasformarsi in una tartaruga: un guscio coriaceo sopra una massa molliccia.
9.4.10
Treddì senza meraviglie
Alice in Wonderland di Tim Burton
Ci sono almeno tre elementi su cui effettuare un approfondimento a proposito di Alice. Il primo è che è un film di Tim Burton e noi che lo abbiamo amato in tante altre occasioni, vogliamo vedere cosa succede quando il progetto è così imponente e bisogna che tornino indietro parecchi soldini. La seconda è la curiosità per Alice nel paese delle meraviglie , che ho sempre trovato in mille riferimenti, tra vecchi cartoni e videogiochi, ma non ho mai letto per intero, nè visto al cinema. Ed infine c'è la prova del treddì o 3d, che, molto in voga nei film di massa, ci apprestiamo, con la nostra solita puzza sotto il naso, a testare. Per iniziare diciamo che il film si fa vedere, i pupazzi buffi sono aderenti al mondo immaginario che abbiamo imparato ad apprezzare col regista americano, ma qualcosa manca. Si sente che si concede qualcosa alla spettacolarità e si retrocede in quanto a visionarietà, fantasia e genialità dell'autore. La storia non è entusiasmante, segue i prevedibili canoni disneyani e i suoi ritmi classici. Ma qui e la si colgono picchi di buon intrattenimento, qualche scena ben riuscita. Figure fantasiose come lo Stregatto, il Cappellaio matto e la Regina rossa rimangono comunque simpatiche ed affascinanti. Per quanto riguarda invece la scoperta del meraviglioso mondo di Alice e di tutte le implicazioni psicologiche attribuitele, ho deciso che prima o poi lo leggerò il libro e da esso partirò per fare delle riflessioni a riguardo. Infine un discorso merita il treddì. Per chi, come me, non ha visto nè Avatar nè altro in questo formato, l'impatto diverte e sorprende nei primi dieci minuti. Ma in fin dei conti la funzionalità degli effetti tridimensionali per la piacevolezza del film non sono granchè e poi alla lunga gli occhiali possono anche dare fastidio. Per cui i quattro euri in piu' spesi per gli occhialini vanno bene per una volta, ma basta così.
Ci sono almeno tre elementi su cui effettuare un approfondimento a proposito di Alice. Il primo è che è un film di Tim Burton e noi che lo abbiamo amato in tante altre occasioni, vogliamo vedere cosa succede quando il progetto è così imponente e bisogna che tornino indietro parecchi soldini. La seconda è la curiosità per Alice nel paese delle meraviglie , che ho sempre trovato in mille riferimenti, tra vecchi cartoni e videogiochi, ma non ho mai letto per intero, nè visto al cinema. Ed infine c'è la prova del treddì o 3d, che, molto in voga nei film di massa, ci apprestiamo, con la nostra solita puzza sotto il naso, a testare. Per iniziare diciamo che il film si fa vedere, i pupazzi buffi sono aderenti al mondo immaginario che abbiamo imparato ad apprezzare col regista americano, ma qualcosa manca. Si sente che si concede qualcosa alla spettacolarità e si retrocede in quanto a visionarietà, fantasia e genialità dell'autore. La storia non è entusiasmante, segue i prevedibili canoni disneyani e i suoi ritmi classici. Ma qui e la si colgono picchi di buon intrattenimento, qualche scena ben riuscita. Figure fantasiose come lo Stregatto, il Cappellaio matto e la Regina rossa rimangono comunque simpatiche ed affascinanti. Per quanto riguarda invece la scoperta del meraviglioso mondo di Alice e di tutte le implicazioni psicologiche attribuitele, ho deciso che prima o poi lo leggerò il libro e da esso partirò per fare delle riflessioni a riguardo. Infine un discorso merita il treddì. Per chi, come me, non ha visto nè Avatar nè altro in questo formato, l'impatto diverte e sorprende nei primi dieci minuti. Ma in fin dei conti la funzionalità degli effetti tridimensionali per la piacevolezza del film non sono granchè e poi alla lunga gli occhiali possono anche dare fastidio. Per cui i quattro euri in piu' spesi per gli occhialini vanno bene per una volta, ma basta così.
6.4.10
Passeggiata sulle macerie
Pasquetta a L'Aquila
Prima o poi doveva accadere. Da una parte ti porti dietro una voglia smisurata di rivederla che sa di morbosità televisiva, dall'altra vorresti portare rispetto e conservarne il ricordo intatto. Ma a L'Aquila prima o poi si deve tornare. A Pasquetta si fanno le gite fuori porta, e noi ne facciamo una, in punta di piedi, proprio il giorno che precede la ricorrenza del primo anniversario del sisma. La giornata non è bella, ci sono ampie nuvole all'orizzonte, speriamo che non piova tanto. Avvicinandoci alla città, dal lato di via Strinella, constatiamo che una buona parte delle costruzioni, almeno guardando le case dal di fuori, potrebbe riprendere la vita con poche riparazioni. Ma non ci sono molti lavori in corso. Il primo simulacro presso il quale sostiamo è la chiesa di Santa Maria di Collemaggio. Non c'è piu' il prato e non c'è piu' il tetto, sostituito da un impalcatura tecnologica che da sicurezza, ma appare un affronto alla bellezza, ormai perduta. Qui fervono i preparativi per le celebrazioni e per la fiaccolata dell'anniversario dalla tragedia. Riprendiamo la macchina e percorriamo alcune stradine del centro, che resta, per buona parte, chiuso, e poi proseguiamo oltre, verso Pettino. Da queste parti raggiungiamo alcune delle case mostrate in televisione, per la storia del cemento con la sabbia di mare, che poi non era vera. Mi ricordo che mostravano le colonne tranciate di netto dal terremoto. Alcune di queste case sono crollate sui garage e i primi piani sono diventati piani terra. La carcassa di una macchina schiacciata, sotto il peso dell'edificio è un'immagine inquietante e bloccata, come la fotografia che scattiamo, a quel 6 aprile. Ci fermiamo poi per la sosta panino, presso il convento di San Giuliano, nel bosco che, tra le altre disgrazie, è andato in fumo due anni fa. Privo di frati e chiuso anch'esso è uno dei tanti luoghi non piu' occupati della città. Successivamente viviamo le emozioni piu' forti passando davanti alla Casa dello Studente, luogo simbolo del sacrificio di giovani vite. Altri giovani sono morti nelle zone limitrofe, dalle parti della villa comunale che è la zona piu' devastata. Il paesaggio è quello di un bombardamento, alcuni edifici non ci sono piu', sono stati completamente rimossi per motivi di sicurezza. Le storie che ci raccontano i vigili del fuoco fanno venire i brividi e ci restano addosso. C'è poco da dire.
Ma oggi è anche una giornata di volontà di ripartire, di riappropriazione del centro storico de L'Aquila. Vediamo tante persone che percorrono corso Federico II fino ai quattro cantoni. Il bar della villa ha ripreso le attività ed è in pieno fermento. C'è la visita alla chiesa, riaperta a metà, delle Anime Sante, quella della cupola barocca imbragata dai vigili del fuoco. Ma per queste stradine laterali non passa piu' nessuno, la città è spenta, gli edifici sono tutti oscurati dai puntellamenti e dalle impalcature. Chissà quanto tempo trascorrerà prima che le serate si ripopolino di studenti, prima che i negozi e gli uffici riprendano le attività. Si ha la sensazione che nulla sarà piu' come prima.
Prima o poi doveva accadere. Da una parte ti porti dietro una voglia smisurata di rivederla che sa di morbosità televisiva, dall'altra vorresti portare rispetto e conservarne il ricordo intatto. Ma a L'Aquila prima o poi si deve tornare. A Pasquetta si fanno le gite fuori porta, e noi ne facciamo una, in punta di piedi, proprio il giorno che precede la ricorrenza del primo anniversario del sisma. La giornata non è bella, ci sono ampie nuvole all'orizzonte, speriamo che non piova tanto. Avvicinandoci alla città, dal lato di via Strinella, constatiamo che una buona parte delle costruzioni, almeno guardando le case dal di fuori, potrebbe riprendere la vita con poche riparazioni. Ma non ci sono molti lavori in corso. Il primo simulacro presso il quale sostiamo è la chiesa di Santa Maria di Collemaggio. Non c'è piu' il prato e non c'è piu' il tetto, sostituito da un impalcatura tecnologica che da sicurezza, ma appare un affronto alla bellezza, ormai perduta. Qui fervono i preparativi per le celebrazioni e per la fiaccolata dell'anniversario dalla tragedia. Riprendiamo la macchina e percorriamo alcune stradine del centro, che resta, per buona parte, chiuso, e poi proseguiamo oltre, verso Pettino. Da queste parti raggiungiamo alcune delle case mostrate in televisione, per la storia del cemento con la sabbia di mare, che poi non era vera. Mi ricordo che mostravano le colonne tranciate di netto dal terremoto. Alcune di queste case sono crollate sui garage e i primi piani sono diventati piani terra. La carcassa di una macchina schiacciata, sotto il peso dell'edificio è un'immagine inquietante e bloccata, come la fotografia che scattiamo, a quel 6 aprile. Ci fermiamo poi per la sosta panino, presso il convento di San Giuliano, nel bosco che, tra le altre disgrazie, è andato in fumo due anni fa. Privo di frati e chiuso anch'esso è uno dei tanti luoghi non piu' occupati della città. Successivamente viviamo le emozioni piu' forti passando davanti alla Casa dello Studente, luogo simbolo del sacrificio di giovani vite. Altri giovani sono morti nelle zone limitrofe, dalle parti della villa comunale che è la zona piu' devastata. Il paesaggio è quello di un bombardamento, alcuni edifici non ci sono piu', sono stati completamente rimossi per motivi di sicurezza. Le storie che ci raccontano i vigili del fuoco fanno venire i brividi e ci restano addosso. C'è poco da dire.
Ma oggi è anche una giornata di volontà di ripartire, di riappropriazione del centro storico de L'Aquila. Vediamo tante persone che percorrono corso Federico II fino ai quattro cantoni. Il bar della villa ha ripreso le attività ed è in pieno fermento. C'è la visita alla chiesa, riaperta a metà, delle Anime Sante, quella della cupola barocca imbragata dai vigili del fuoco. Ma per queste stradine laterali non passa piu' nessuno, la città è spenta, gli edifici sono tutti oscurati dai puntellamenti e dalle impalcature. Chissà quanto tempo trascorrerà prima che le serate si ripopolino di studenti, prima che i negozi e gli uffici riprendano le attività. Si ha la sensazione che nulla sarà piu' come prima.
4.4.10
Commedia light in una Milano iperreale
Happy Family di Salvatores al centro commerciale
I multisala, di quelli grandi, inseriti nei centri commerciali, in generale, non mi piacciono. Però ti capita di essere in un posto in cui non sai che fare e pensi "si potrebbe andare al cinema", non sai che film vedere e pensi "andiamo in un multisala che magari un film buono c'è" e allora ci vai. E succede che a volte un film buono, che inizi poco dopo il momento in cui sei arrivato, ci sia. Il trailer di "Happy Family" non mi convince, poi, con quel Fabio De Luigi, che, forse perchè bazzica canale5, non mi sta simpaticissimo, chissà se vale la pena. A quest'ora però non vorrei vedere uno di quei film in 3D per adolescenti, e poi Salvatores non è un regista qualsiasi, proviamo. Già dai primi fotogrammi strizzo gli occhi ed individuo che almeno non è la solita commedia. Colori vivi, personaggi bizarri, una Milano tutta loft e design ma senza traffico. Divertente davvero, commedia leggera e breve, e sono due punti di merito. Ma la leggerezza è solo stilistica. La superficie allegra e caciarona nasconde delle riflessioni importanti anche filosofiche sul senso della vita e sulla morte. La coppia Bentivoglio-Abatantuono è memorabile in questo senso. Ma anche gli altri attori hanno dei bei personaggi cuciti addosso, e dovendomi ricredere, Fabio De Luigi non è niente male nel ruolo di protagonista-autore. Poi ci sono sketch esilaranti quali quello della massaggiatrice cinese o la vecchietta cuoca. Noi che abbiamo visto e apprezzato e riso con i Tennenbaud riscontriamo molte affinità e richiami al bel film di Wes Anderson. E questo non è un elemento di critica, ma di piacevole accostamento. Abbiamo risolto la serata di Pasqua senza sbagliare film e senza trovare la sala affollata. Bene
I multisala, di quelli grandi, inseriti nei centri commerciali, in generale, non mi piacciono. Però ti capita di essere in un posto in cui non sai che fare e pensi "si potrebbe andare al cinema", non sai che film vedere e pensi "andiamo in un multisala che magari un film buono c'è" e allora ci vai. E succede che a volte un film buono, che inizi poco dopo il momento in cui sei arrivato, ci sia. Il trailer di "Happy Family" non mi convince, poi, con quel Fabio De Luigi, che, forse perchè bazzica canale5, non mi sta simpaticissimo, chissà se vale la pena. A quest'ora però non vorrei vedere uno di quei film in 3D per adolescenti, e poi Salvatores non è un regista qualsiasi, proviamo. Già dai primi fotogrammi strizzo gli occhi ed individuo che almeno non è la solita commedia. Colori vivi, personaggi bizarri, una Milano tutta loft e design ma senza traffico. Divertente davvero, commedia leggera e breve, e sono due punti di merito. Ma la leggerezza è solo stilistica. La superficie allegra e caciarona nasconde delle riflessioni importanti anche filosofiche sul senso della vita e sulla morte. La coppia Bentivoglio-Abatantuono è memorabile in questo senso. Ma anche gli altri attori hanno dei bei personaggi cuciti addosso, e dovendomi ricredere, Fabio De Luigi non è niente male nel ruolo di protagonista-autore. Poi ci sono sketch esilaranti quali quello della massaggiatrice cinese o la vecchietta cuoca. Noi che abbiamo visto e apprezzato e riso con i Tennenbaud riscontriamo molte affinità e richiami al bel film di Wes Anderson. E questo non è un elemento di critica, ma di piacevole accostamento. Abbiamo risolto la serata di Pasqua senza sbagliare film e senza trovare la sala affollata. Bene
1.4.10
Pasqua ebraica
Si avvicina la Pasqua ed in giro per Roma si svolgono diversi concerti di richiamo spirituale. Veniamo invitati al ghetto e piu' precisamente nella Chiesa di Santa Caterina de Funari per un concerto di musica ebraica, così ci dicono. Il ghetto è un posto ogni volta piacevole da raggiungere e da visitare. L'occasione è propizia. In una serata infrasettimanale non ci dovrebbe essere molto traffico. Inaspettatamente c'è una fila che ci fa temere per la nostra partecipazione al concerto. Ci sono i soliti bigliettini come alla posta e fanno entrare un pò alla volta. Alla fine stretti stretti, seduti su un confessionale ma ci siamo. Evelina Meghnagi ci introduce alla sua musica che è un percorso attraverso la diaspora dei giudei. Canti yemeniti, libici, sefarditi, in judeo-spagnolo, arabo ma anche in italiano. Una alternativa alla musica klezmer e alla lingua hiddish che è piu' in voga. Tutto di fila il concerto potrebbe annichilire i palati meno fini, ma alcune melodie sono davvero accattivanti. Bravissimo Domenico Ascione alla chitarra che poi si cimenta in una versione commovente del classico (che era un classico l'ho scoperto dopo) di "adio kerida". La Meghnagi ha una voce potente ed arricchisce la musica con ampie descrizioni delle ballate.
Finiamo la serata in un ristorante kosher (ma i gestori sono musulmani, va bè che la cucina è la stessa) in cui ho scoperto che il carciofo alla giudia non è quello che pensavo e non mi piace proprio.
15.3.10
Manifestazioni e manifestazioni
Manifestazione piazza del popolo contro corteo di San Giovanni
La primavera è una stagione che si presta per le manifestazioni di tipo politico in senso lato, ma non è che che si va a certi eventi solo per farsi una passeggiata. Ci sono delle parole da ascoltare e alle quali aderire o, al contrario, si cercano volti che ascoltino i nostri desideri piu' profondi e li decantino da un palco. Ci sono le manifestazioni piacevoli a cui si va volentieri, e quelle che si guarda da fuori per lo sconcerto che ci destano. Ho visto vecchietti improbabili che sembravano uscire da gite di paese e che invece andavano a San Giovanni avvolti da bandiere e slogan idioti tipo "L'amore vince sempre sull'odio". Ne ho visti altri con lo sguardo fiero, con rabbia lucida invocare, a Piazza del popolo, democrazia e diritti civili per tutti. Ho visto (in tv e solo un pò) un palco pacchiano e deficiente, e ne ho visto un altro (dal vivo) dal quale sono uscite parole importanti, pregne di significato, umane, forse un pò retoriche, e molta buona musica. La manifestazione di Piazza del Popolo, una di quelle, ne ricordo molte ormai, organizzate per sancire il diritto alla uguaglianza, alla salvaguardia della Costituzione, una delle tante contro qualche trucchetto dei governanti, in questo caso la legge elettorale cambiata in corso d'opera. Ho visto interventi di politici e persone come si dice "della società civile" di grande impatto, ma il coinvolgimento e la passione smodata è giunta con il discorso di Nichi Vendola. Chiamato per nome "Nichi" da tutti, è ormai un idolo delle folle e rappresenta una luce, una speranza nell'ambito della nebulosa del centro sinistra. Con i suoi discorsi filosofici, solidaristici, laici è travolgente. Tutti vogliono essere pugliesi per poterlo votare alla regione. La politica deve essere questo : la direzione, il sogno comune, l'obiettivo di una comunità. La musica aiuta a coinvolgere e a far sognare ed in questa occasione gli ospiti sonori sono tutti azzeccati. E segnaliamo un duo, che produce suoni che sembrano uscire da un gruppo rock con quattro chitarre due batterie e almento un basso, invece sono solo i due "Bud Spencer blues explotions". Questi fanno un blues rock molto chitarroso alla "Jimi Hendrix" o "Explosions in the sky" , che non è il mio genere, ma ascoltarlo in piazza è straripante e penetrante. Davvero bravi. E poi c'è Simone Cristicchi, che non se ne parla mai bene a sufficienza, testi e musica ben illuminati, anche lui dal vivo non manca mai di farci fare quattro salti. Tutto bene, ma è solo una manifestazione, non serve a molto, ma neanche a niente.
Bud Spencer blues explotions Cristicchi
La primavera è una stagione che si presta per le manifestazioni di tipo politico in senso lato, ma non è che che si va a certi eventi solo per farsi una passeggiata. Ci sono delle parole da ascoltare e alle quali aderire o, al contrario, si cercano volti che ascoltino i nostri desideri piu' profondi e li decantino da un palco. Ci sono le manifestazioni piacevoli a cui si va volentieri, e quelle che si guarda da fuori per lo sconcerto che ci destano. Ho visto vecchietti improbabili che sembravano uscire da gite di paese e che invece andavano a San Giovanni avvolti da bandiere e slogan idioti tipo "L'amore vince sempre sull'odio". Ne ho visti altri con lo sguardo fiero, con rabbia lucida invocare, a Piazza del popolo, democrazia e diritti civili per tutti. Ho visto (in tv e solo un pò) un palco pacchiano e deficiente, e ne ho visto un altro (dal vivo) dal quale sono uscite parole importanti, pregne di significato, umane, forse un pò retoriche, e molta buona musica. La manifestazione di Piazza del Popolo, una di quelle, ne ricordo molte ormai, organizzate per sancire il diritto alla uguaglianza, alla salvaguardia della Costituzione, una delle tante contro qualche trucchetto dei governanti, in questo caso la legge elettorale cambiata in corso d'opera. Ho visto interventi di politici e persone come si dice "della società civile" di grande impatto, ma il coinvolgimento e la passione smodata è giunta con il discorso di Nichi Vendola. Chiamato per nome "Nichi" da tutti, è ormai un idolo delle folle e rappresenta una luce, una speranza nell'ambito della nebulosa del centro sinistra. Con i suoi discorsi filosofici, solidaristici, laici è travolgente. Tutti vogliono essere pugliesi per poterlo votare alla regione. La politica deve essere questo : la direzione, il sogno comune, l'obiettivo di una comunità. La musica aiuta a coinvolgere e a far sognare ed in questa occasione gli ospiti sonori sono tutti azzeccati. E segnaliamo un duo, che produce suoni che sembrano uscire da un gruppo rock con quattro chitarre due batterie e almento un basso, invece sono solo i due "Bud Spencer blues explotions". Questi fanno un blues rock molto chitarroso alla "Jimi Hendrix" o "Explosions in the sky" , che non è il mio genere, ma ascoltarlo in piazza è straripante e penetrante. Davvero bravi. E poi c'è Simone Cristicchi, che non se ne parla mai bene a sufficienza, testi e musica ben illuminati, anche lui dal vivo non manca mai di farci fare quattro salti. Tutto bene, ma è solo una manifestazione, non serve a molto, ma neanche a niente.
Bud Spencer blues explotions Cristicchi
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