Ad un certo punto della mia vita mi sono accorto di non aver letto mai per intero "Le avvventure di Pinocchio. Avevo visto lo sceneggiato televisivo, i vari cartoni animati, posseduto un Pinocchio di gomma con luce incorporata, ma non ricordo di aver avuto il libro tra le mani. Sicuramente ricordo ammonimenti ricevuti da piccolo del tipo "Non dire bugie altrimenti ti cresce il naso come Pinocchio!" e via di seguito. Pinocchio è alla base dell'educazione della mia generazione, ma non ha avuto molto effetto : i bambini buoni e ubbidienti erano già pochi all'epoca e col tempo se ne sono persi molti altri. Diciamo che solo i piu' ingenui sono stati traviati dal burattino di legno, ma non è un grosso male che ci sia ancora chi non racconta menzogne a causa di letture giovanili. Il libro "Le avventure di Pinocchio", scritto da Collodi, è altro dall'immagine edulcorata della versione disneyana che se n'è impadronita; esso è in realtà un libro per grandi con assassini, ladri, morti e colpi di scena che farebbero impallidire anche Tarantino. Ed una delle frasi storiche del mio professore di matematica del liceo era proprio questa " Pinocchio letto da grandi è tutta un'altra cosa". Il primo livello di lettura, quello della storia in sè è proprio piacevole: favola, magia, scoperta, fantasia, noir. Personaggi meravigliosi tra l'umano e l'animale come il grillo parlante, Mangiafuoco, Lucignolo, la Bella Bambina dai Capelli Turchini, il Gatto e la Volpe, il giudice Acchiappacitrulli, il pescecane (che non è una "balena"). Luoghi del subconscio come il Gran Teatro dei Burattini, il Campo dei Miracoli, l'osteria del Gambero Rosso, il paese delle Api industriose, il mitico Paese dei Balocchi. Per il resto gli sono state affibiate le letture piu' disparate, le piu' assurde da quella ovvia pedagogica a quelle psicologiche, politiche o religiose che non fanno altro che confermare la peculiarità dell'opera. Pinocchio è anche un simbolo disincato di ribellione ai canoni della società ottocentesca, che viene sì piegato, ma che ci prova in ogni modo. Per l'infanzia invece credo sia un pò inadeguato, troppo inquietante e troppo strumentalizzato. A tutto ciò aggiungiamo una citazione delle illustrazioni originali di Mazzanti che danno un contributo quasi "gotico" al racconto. Per finire come non ricordare Calvino che parlava di ritmo e sintassi delle immagini e metamorfosi che fanno sì che ogni episodio segua l'altro in una concatenazione propulsiva, o della duttilità con cui il romanzo si offre alla perpetua collaborazione del lettore. Questo ha dato un successo internazionale al libro.
C'era una volta...
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr'Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura.
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