Gita ad Alatri e Ferentino
Cerchiamo una nuova meta per la gitarella fuori porta domenicale. In ambito laziale abbiamo battuto quasi tutto il battibile, ma pensa che ti ripensa anche questa volta riusciamo a trovare dei posti da "studiare". Ci spingiamo in Ciociaria per scoprire due cittadine collocate su acropoli di tradizione greca. Alatri ha una disposizione estremamente adatta per una visita turistica. Basta trovare un parcheggio poco fuori dal centro storico e proseguire a piedi tra vicoli e palazzi. La tappa obbligata è la cima dell'acropoli, una vasta area sopraelevata su un colle sorretta da antichissime mura megalitiche molto ben conservate. Notevole la porta maggiore costituita da pietre gigantesche, ma trova attrazione anche la porta minore detta dei "falli" per delle, ormai deteriorate, rappresentazioni inneggianti alla fertilità. Oltre al panorama che offre la vista dall'alto, si può entrare in cattedrale che però non è il massimo visto che è il risultato di un restauro settecentesco. Dopo aver percorso a girotondo la base dell'acropoli, si può scendere nella bellissima piazza Santa Maria Maggiore. Su questa piazza sorgono due chiese ed il municipio, la trecentesca Santa Maria Maggiore ne costituisce il fulcro con il suo notevole rosone gotico. Alatri è molto ben curata e ristrutturata per benino. Al contrario Ferentino è una cittadina piu' cadente, decrepita, ma non per questo ha meno fascino, anzi. Anch'essa è collocata su un colle e possiede un'acropoli. Partiamo dal solito punto a caso ed entriamo a piedi attraverso una delle stradine lastricate che ci portano al centro storico. La prima felice sosta è un bar carino che serve un ottimo caffè. Proseguendo incontriamo una bella piazzetta, piazza Matteotti con un mercatino assai interessante. Di qui si aprono molte possibilità, si può salire, scendere o zigzagare. Scendiamo verso quella che l'indicazione turistica indica come "Porta Sanguinaria". Tra palazzine vetuste, poco o niente restaurate, giungiamo alla chiesa, anche qui, di Santa Maria Maggiore che, anche se in un angusta posizione, è molto suggestiva. E' in stile gotico-cistercense ed è interessante anche l'interno. Proseguendo sotto si giunge alla porta maggiore una costruzione antichissima ma il luogo circostante sembra quasi una discarica. Risalendo e riscendendo le stradine verso il teatro romano ci si imbatte in un quartiere di grande fascino popolato di gatti e di palazzine pericolanti. Non so se ristrutturandolo, trasformandolo cioè in attrazione turistica, conserverebbe la bellezza che è insita nelle cose vissute. Andiamo oltre e raggiungiamo la cosiddetta porta Sanguinaria, costruzione antica ristrutturata dai romani e nel medioevo e se ne vedo le tracce. Da qui si domina la valle del fiume Sacco. A questo punto si può solo risalire per raggiungere l'Acropoli, che a Ferentino è meno imponente di quella di Alatri, ma molto piu' ripida. In cima, oltre ad un tetro carcere, c'è una bella chiesa del 1100 dedicata a San Giovanni e Paolo. Una piccola sosta e si ridiscende dall'altro lato, incontrando quasi per caso un mercato Romano; ci fermiamo un attimo, è in corso di installazione una mostra fotografica su una missione umanitaria a Sarajevo durante la guerra, e ci meravigliamo di quante sorprese riserva questa cittadina.
Dunque Alatri piu' elegante, ma Ferentino piu' misteriosa.
26.4.10
12.4.10
Oltre Romeo e Giulietta
La terra sotto i suoi piedi di Salman Rushdie
Ho superato la paura che avevo di intraprendere letture di libri pesanti (nel senso della massa). Settecento pagine e piu' per "La terra sotto i suoi piedi" in tempi lontani le avrei rimandate a data da destinarsi. E così ho fatto per anni. Ma ora non ho piu' paura, anzi ora so che solo un libro grande può essere un grande libro. Ovviamente non basta, ma se uno scrittore è bravo e riesce a mantenere alto il livello della narrazione, la lettura ti resta appiccicata addosso anche molto tempo dopo la parola "FINE". Salman Rushdie, scrittore indiano, famoso per la storia della fatwa, ha realizzato un libro che è uno sterminato mondo di parole, di filosofie di vita, di ritmi rock, di personaggi bizzarri, di assurdità fantastiche. Oriente contro occidente, il mondo terreno contro quello ultraterreo, il mito contro il reale. E l'amore che vince sempre.... Perchè prima di tutto, il romanzo è una storia d'amore alla "Romeo e Giulietta", tempestata di riferimenti mitologici antichi e moderni. L'archetipo da cui trae origine è la storia oraziana di Orfeo e Euridice, sia per la presenza del terzo incomodo, tale Rai Merchant, il triangolo non l'avevo considerato, sia per la ricerca dell'amore fin dopo la morte, nell'aldilà. Gli iperuranici protagonisti Ormus Cama e Vina Apsara sono insuperabili per bellezza e armonia. Musicisti senza pari, muovono folle deliranti, fascino, carisma, trasgressione. Chi se non loro destinati a questo "folle" amore. Si incontrano, si perdono, si ritrovano, rimangono casti (fra loro) per dieci anni fino al matrimonio, e poi di nuovo appaiono distanti per l'isolamento di Ormus fino alla morte di Vina, nel terremoto di Città del Messico, ma non è ancora finita, l'amore va oltre. Tanti, troppi spunti in questo che è un romanzo infinito e strabarocco, che si svolge in tre città simboliche : l'indiana Bombay filo-inglese degli anni Quaranta e Cinquanta, la Londra dei favolosi anni Sessanta e la New York degli anni '70 e '80. Tre mondi, tre epoche. E poi troviamo di tutto, filosofia, mitologia classica e orientale, religioni antiche come lo zoroastrismo e poi incendi, suicidi, omicidi, terremoti distruttivi, musica rock, fotografia, allevamenti di capre, droghe, incidenti d'auto, coma, erotismo, cricket .. e altro ancora. La narrazione è affidata a Rai, amante di Vina, che non riuscirà mai a portare via ad Ormus. Ma sarà il rivelatore di questa grande storia. La lettura è avvincente anche se a volte assurda e incomprensibile, non si riesce sempre a stare sempre dietro alle manie linguistico-immaginarie dello scrittore. Ma inseguendolo lo si riprende e si possono godere, magari a tratti, delle belle emozioni. Ne è valsa la pena
Un pò di citazioni :
Ho superato la paura che avevo di intraprendere letture di libri pesanti (nel senso della massa). Settecento pagine e piu' per "La terra sotto i suoi piedi" in tempi lontani le avrei rimandate a data da destinarsi. E così ho fatto per anni. Ma ora non ho piu' paura, anzi ora so che solo un libro grande può essere un grande libro. Ovviamente non basta, ma se uno scrittore è bravo e riesce a mantenere alto il livello della narrazione, la lettura ti resta appiccicata addosso anche molto tempo dopo la parola "FINE". Salman Rushdie, scrittore indiano, famoso per la storia della fatwa, ha realizzato un libro che è uno sterminato mondo di parole, di filosofie di vita, di ritmi rock, di personaggi bizzarri, di assurdità fantastiche. Oriente contro occidente, il mondo terreno contro quello ultraterreo, il mito contro il reale. E l'amore che vince sempre.... Perchè prima di tutto, il romanzo è una storia d'amore alla "Romeo e Giulietta", tempestata di riferimenti mitologici antichi e moderni. L'archetipo da cui trae origine è la storia oraziana di Orfeo e Euridice, sia per la presenza del terzo incomodo, tale Rai Merchant, il triangolo non l'avevo considerato, sia per la ricerca dell'amore fin dopo la morte, nell'aldilà. Gli iperuranici protagonisti Ormus Cama e Vina Apsara sono insuperabili per bellezza e armonia. Musicisti senza pari, muovono folle deliranti, fascino, carisma, trasgressione. Chi se non loro destinati a questo "folle" amore. Si incontrano, si perdono, si ritrovano, rimangono casti (fra loro) per dieci anni fino al matrimonio, e poi di nuovo appaiono distanti per l'isolamento di Ormus fino alla morte di Vina, nel terremoto di Città del Messico, ma non è ancora finita, l'amore va oltre. Tanti, troppi spunti in questo che è un romanzo infinito e strabarocco, che si svolge in tre città simboliche : l'indiana Bombay filo-inglese degli anni Quaranta e Cinquanta, la Londra dei favolosi anni Sessanta e la New York degli anni '70 e '80. Tre mondi, tre epoche. E poi troviamo di tutto, filosofia, mitologia classica e orientale, religioni antiche come lo zoroastrismo e poi incendi, suicidi, omicidi, terremoti distruttivi, musica rock, fotografia, allevamenti di capre, droghe, incidenti d'auto, coma, erotismo, cricket .. e altro ancora. La narrazione è affidata a Rai, amante di Vina, che non riuscirà mai a portare via ad Ormus. Ma sarà il rivelatore di questa grande storia. La lettura è avvincente anche se a volte assurda e incomprensibile, non si riesce sempre a stare sempre dietro alle manie linguistico-immaginarie dello scrittore. Ma inseguendolo lo si riprende e si possono godere, magari a tratti, delle belle emozioni. Ne è valsa la pena
Un pò di citazioni :
Ma quello che io intendevo per amore, e quello che Ormus Cama - per esempio - intendeva con la stessa parola, erano due cose diverse. Per me era sempre un' arte, l'ars amatoria: il primo approccio, la rimozione delle ansie, la creazione dell'interesse, la finta pazienza, il lento e inesorabile ritorno. La pigra spirale interiore del desiderio. Kama. L' arte dell' amore.
Mentre per Ormus Cama era questione di vita e di morte. L'amore era per tutta la vita, e durava dopo la morte. L'amore era Vina, e dopo Vina non c'era nient' altro che il vuoto.
Tre di noi, da Bombay, presero la via dell'occidente. Dei tre fu Vina, per la quale era un viaggio di ritorno, la prima a sentire i morsi della fame spirituale del mondo occidentale, a restare intrappolata nei suoi abissi d'incertezza e a trasformarsi in una tartaruga: un guscio coriaceo sopra una massa molliccia.
9.4.10
Treddì senza meraviglie
Alice in Wonderland di Tim Burton
Ci sono almeno tre elementi su cui effettuare un approfondimento a proposito di Alice. Il primo è che è un film di Tim Burton e noi che lo abbiamo amato in tante altre occasioni, vogliamo vedere cosa succede quando il progetto è così imponente e bisogna che tornino indietro parecchi soldini. La seconda è la curiosità per Alice nel paese delle meraviglie , che ho sempre trovato in mille riferimenti, tra vecchi cartoni e videogiochi, ma non ho mai letto per intero, nè visto al cinema. Ed infine c'è la prova del treddì o 3d, che, molto in voga nei film di massa, ci apprestiamo, con la nostra solita puzza sotto il naso, a testare. Per iniziare diciamo che il film si fa vedere, i pupazzi buffi sono aderenti al mondo immaginario che abbiamo imparato ad apprezzare col regista americano, ma qualcosa manca. Si sente che si concede qualcosa alla spettacolarità e si retrocede in quanto a visionarietà, fantasia e genialità dell'autore. La storia non è entusiasmante, segue i prevedibili canoni disneyani e i suoi ritmi classici. Ma qui e la si colgono picchi di buon intrattenimento, qualche scena ben riuscita. Figure fantasiose come lo Stregatto, il Cappellaio matto e la Regina rossa rimangono comunque simpatiche ed affascinanti. Per quanto riguarda invece la scoperta del meraviglioso mondo di Alice e di tutte le implicazioni psicologiche attribuitele, ho deciso che prima o poi lo leggerò il libro e da esso partirò per fare delle riflessioni a riguardo. Infine un discorso merita il treddì. Per chi, come me, non ha visto nè Avatar nè altro in questo formato, l'impatto diverte e sorprende nei primi dieci minuti. Ma in fin dei conti la funzionalità degli effetti tridimensionali per la piacevolezza del film non sono granchè e poi alla lunga gli occhiali possono anche dare fastidio. Per cui i quattro euri in piu' spesi per gli occhialini vanno bene per una volta, ma basta così.
Ci sono almeno tre elementi su cui effettuare un approfondimento a proposito di Alice. Il primo è che è un film di Tim Burton e noi che lo abbiamo amato in tante altre occasioni, vogliamo vedere cosa succede quando il progetto è così imponente e bisogna che tornino indietro parecchi soldini. La seconda è la curiosità per Alice nel paese delle meraviglie , che ho sempre trovato in mille riferimenti, tra vecchi cartoni e videogiochi, ma non ho mai letto per intero, nè visto al cinema. Ed infine c'è la prova del treddì o 3d, che, molto in voga nei film di massa, ci apprestiamo, con la nostra solita puzza sotto il naso, a testare. Per iniziare diciamo che il film si fa vedere, i pupazzi buffi sono aderenti al mondo immaginario che abbiamo imparato ad apprezzare col regista americano, ma qualcosa manca. Si sente che si concede qualcosa alla spettacolarità e si retrocede in quanto a visionarietà, fantasia e genialità dell'autore. La storia non è entusiasmante, segue i prevedibili canoni disneyani e i suoi ritmi classici. Ma qui e la si colgono picchi di buon intrattenimento, qualche scena ben riuscita. Figure fantasiose come lo Stregatto, il Cappellaio matto e la Regina rossa rimangono comunque simpatiche ed affascinanti. Per quanto riguarda invece la scoperta del meraviglioso mondo di Alice e di tutte le implicazioni psicologiche attribuitele, ho deciso che prima o poi lo leggerò il libro e da esso partirò per fare delle riflessioni a riguardo. Infine un discorso merita il treddì. Per chi, come me, non ha visto nè Avatar nè altro in questo formato, l'impatto diverte e sorprende nei primi dieci minuti. Ma in fin dei conti la funzionalità degli effetti tridimensionali per la piacevolezza del film non sono granchè e poi alla lunga gli occhiali possono anche dare fastidio. Per cui i quattro euri in piu' spesi per gli occhialini vanno bene per una volta, ma basta così.
6.4.10
Passeggiata sulle macerie
Pasquetta a L'Aquila
Prima o poi doveva accadere. Da una parte ti porti dietro una voglia smisurata di rivederla che sa di morbosità televisiva, dall'altra vorresti portare rispetto e conservarne il ricordo intatto. Ma a L'Aquila prima o poi si deve tornare. A Pasquetta si fanno le gite fuori porta, e noi ne facciamo una, in punta di piedi, proprio il giorno che precede la ricorrenza del primo anniversario del sisma. La giornata non è bella, ci sono ampie nuvole all'orizzonte, speriamo che non piova tanto. Avvicinandoci alla città, dal lato di via Strinella, constatiamo che una buona parte delle costruzioni, almeno guardando le case dal di fuori, potrebbe riprendere la vita con poche riparazioni. Ma non ci sono molti lavori in corso. Il primo simulacro presso il quale sostiamo è la chiesa di Santa Maria di Collemaggio. Non c'è piu' il prato e non c'è piu' il tetto, sostituito da un impalcatura tecnologica che da sicurezza, ma appare un affronto alla bellezza, ormai perduta. Qui fervono i preparativi per le celebrazioni e per la fiaccolata dell'anniversario dalla tragedia. Riprendiamo la macchina e percorriamo alcune stradine del centro, che resta, per buona parte, chiuso, e poi proseguiamo oltre, verso Pettino. Da queste parti raggiungiamo alcune delle case mostrate in televisione, per la storia del cemento con la sabbia di mare, che poi non era vera. Mi ricordo che mostravano le colonne tranciate di netto dal terremoto. Alcune di queste case sono crollate sui garage e i primi piani sono diventati piani terra. La carcassa di una macchina schiacciata, sotto il peso dell'edificio è un'immagine inquietante e bloccata, come la fotografia che scattiamo, a quel 6 aprile. Ci fermiamo poi per la sosta panino, presso il convento di San Giuliano, nel bosco che, tra le altre disgrazie, è andato in fumo due anni fa. Privo di frati e chiuso anch'esso è uno dei tanti luoghi non piu' occupati della città. Successivamente viviamo le emozioni piu' forti passando davanti alla Casa dello Studente, luogo simbolo del sacrificio di giovani vite. Altri giovani sono morti nelle zone limitrofe, dalle parti della villa comunale che è la zona piu' devastata. Il paesaggio è quello di un bombardamento, alcuni edifici non ci sono piu', sono stati completamente rimossi per motivi di sicurezza. Le storie che ci raccontano i vigili del fuoco fanno venire i brividi e ci restano addosso. C'è poco da dire.
Ma oggi è anche una giornata di volontà di ripartire, di riappropriazione del centro storico de L'Aquila. Vediamo tante persone che percorrono corso Federico II fino ai quattro cantoni. Il bar della villa ha ripreso le attività ed è in pieno fermento. C'è la visita alla chiesa, riaperta a metà, delle Anime Sante, quella della cupola barocca imbragata dai vigili del fuoco. Ma per queste stradine laterali non passa piu' nessuno, la città è spenta, gli edifici sono tutti oscurati dai puntellamenti e dalle impalcature. Chissà quanto tempo trascorrerà prima che le serate si ripopolino di studenti, prima che i negozi e gli uffici riprendano le attività. Si ha la sensazione che nulla sarà piu' come prima.
Prima o poi doveva accadere. Da una parte ti porti dietro una voglia smisurata di rivederla che sa di morbosità televisiva, dall'altra vorresti portare rispetto e conservarne il ricordo intatto. Ma a L'Aquila prima o poi si deve tornare. A Pasquetta si fanno le gite fuori porta, e noi ne facciamo una, in punta di piedi, proprio il giorno che precede la ricorrenza del primo anniversario del sisma. La giornata non è bella, ci sono ampie nuvole all'orizzonte, speriamo che non piova tanto. Avvicinandoci alla città, dal lato di via Strinella, constatiamo che una buona parte delle costruzioni, almeno guardando le case dal di fuori, potrebbe riprendere la vita con poche riparazioni. Ma non ci sono molti lavori in corso. Il primo simulacro presso il quale sostiamo è la chiesa di Santa Maria di Collemaggio. Non c'è piu' il prato e non c'è piu' il tetto, sostituito da un impalcatura tecnologica che da sicurezza, ma appare un affronto alla bellezza, ormai perduta. Qui fervono i preparativi per le celebrazioni e per la fiaccolata dell'anniversario dalla tragedia. Riprendiamo la macchina e percorriamo alcune stradine del centro, che resta, per buona parte, chiuso, e poi proseguiamo oltre, verso Pettino. Da queste parti raggiungiamo alcune delle case mostrate in televisione, per la storia del cemento con la sabbia di mare, che poi non era vera. Mi ricordo che mostravano le colonne tranciate di netto dal terremoto. Alcune di queste case sono crollate sui garage e i primi piani sono diventati piani terra. La carcassa di una macchina schiacciata, sotto il peso dell'edificio è un'immagine inquietante e bloccata, come la fotografia che scattiamo, a quel 6 aprile. Ci fermiamo poi per la sosta panino, presso il convento di San Giuliano, nel bosco che, tra le altre disgrazie, è andato in fumo due anni fa. Privo di frati e chiuso anch'esso è uno dei tanti luoghi non piu' occupati della città. Successivamente viviamo le emozioni piu' forti passando davanti alla Casa dello Studente, luogo simbolo del sacrificio di giovani vite. Altri giovani sono morti nelle zone limitrofe, dalle parti della villa comunale che è la zona piu' devastata. Il paesaggio è quello di un bombardamento, alcuni edifici non ci sono piu', sono stati completamente rimossi per motivi di sicurezza. Le storie che ci raccontano i vigili del fuoco fanno venire i brividi e ci restano addosso. C'è poco da dire.
Ma oggi è anche una giornata di volontà di ripartire, di riappropriazione del centro storico de L'Aquila. Vediamo tante persone che percorrono corso Federico II fino ai quattro cantoni. Il bar della villa ha ripreso le attività ed è in pieno fermento. C'è la visita alla chiesa, riaperta a metà, delle Anime Sante, quella della cupola barocca imbragata dai vigili del fuoco. Ma per queste stradine laterali non passa piu' nessuno, la città è spenta, gli edifici sono tutti oscurati dai puntellamenti e dalle impalcature. Chissà quanto tempo trascorrerà prima che le serate si ripopolino di studenti, prima che i negozi e gli uffici riprendano le attività. Si ha la sensazione che nulla sarà piu' come prima.
4.4.10
Commedia light in una Milano iperreale
Happy Family di Salvatores al centro commerciale
I multisala, di quelli grandi, inseriti nei centri commerciali, in generale, non mi piacciono. Però ti capita di essere in un posto in cui non sai che fare e pensi "si potrebbe andare al cinema", non sai che film vedere e pensi "andiamo in un multisala che magari un film buono c'è" e allora ci vai. E succede che a volte un film buono, che inizi poco dopo il momento in cui sei arrivato, ci sia. Il trailer di "Happy Family" non mi convince, poi, con quel Fabio De Luigi, che, forse perchè bazzica canale5, non mi sta simpaticissimo, chissà se vale la pena. A quest'ora però non vorrei vedere uno di quei film in 3D per adolescenti, e poi Salvatores non è un regista qualsiasi, proviamo. Già dai primi fotogrammi strizzo gli occhi ed individuo che almeno non è la solita commedia. Colori vivi, personaggi bizarri, una Milano tutta loft e design ma senza traffico. Divertente davvero, commedia leggera e breve, e sono due punti di merito. Ma la leggerezza è solo stilistica. La superficie allegra e caciarona nasconde delle riflessioni importanti anche filosofiche sul senso della vita e sulla morte. La coppia Bentivoglio-Abatantuono è memorabile in questo senso. Ma anche gli altri attori hanno dei bei personaggi cuciti addosso, e dovendomi ricredere, Fabio De Luigi non è niente male nel ruolo di protagonista-autore. Poi ci sono sketch esilaranti quali quello della massaggiatrice cinese o la vecchietta cuoca. Noi che abbiamo visto e apprezzato e riso con i Tennenbaud riscontriamo molte affinità e richiami al bel film di Wes Anderson. E questo non è un elemento di critica, ma di piacevole accostamento. Abbiamo risolto la serata di Pasqua senza sbagliare film e senza trovare la sala affollata. Bene
I multisala, di quelli grandi, inseriti nei centri commerciali, in generale, non mi piacciono. Però ti capita di essere in un posto in cui non sai che fare e pensi "si potrebbe andare al cinema", non sai che film vedere e pensi "andiamo in un multisala che magari un film buono c'è" e allora ci vai. E succede che a volte un film buono, che inizi poco dopo il momento in cui sei arrivato, ci sia. Il trailer di "Happy Family" non mi convince, poi, con quel Fabio De Luigi, che, forse perchè bazzica canale5, non mi sta simpaticissimo, chissà se vale la pena. A quest'ora però non vorrei vedere uno di quei film in 3D per adolescenti, e poi Salvatores non è un regista qualsiasi, proviamo. Già dai primi fotogrammi strizzo gli occhi ed individuo che almeno non è la solita commedia. Colori vivi, personaggi bizarri, una Milano tutta loft e design ma senza traffico. Divertente davvero, commedia leggera e breve, e sono due punti di merito. Ma la leggerezza è solo stilistica. La superficie allegra e caciarona nasconde delle riflessioni importanti anche filosofiche sul senso della vita e sulla morte. La coppia Bentivoglio-Abatantuono è memorabile in questo senso. Ma anche gli altri attori hanno dei bei personaggi cuciti addosso, e dovendomi ricredere, Fabio De Luigi non è niente male nel ruolo di protagonista-autore. Poi ci sono sketch esilaranti quali quello della massaggiatrice cinese o la vecchietta cuoca. Noi che abbiamo visto e apprezzato e riso con i Tennenbaud riscontriamo molte affinità e richiami al bel film di Wes Anderson. E questo non è un elemento di critica, ma di piacevole accostamento. Abbiamo risolto la serata di Pasqua senza sbagliare film e senza trovare la sala affollata. Bene
1.4.10
Pasqua ebraica
Si avvicina la Pasqua ed in giro per Roma si svolgono diversi concerti di richiamo spirituale. Veniamo invitati al ghetto e piu' precisamente nella Chiesa di Santa Caterina de Funari per un concerto di musica ebraica, così ci dicono. Il ghetto è un posto ogni volta piacevole da raggiungere e da visitare. L'occasione è propizia. In una serata infrasettimanale non ci dovrebbe essere molto traffico. Inaspettatamente c'è una fila che ci fa temere per la nostra partecipazione al concerto. Ci sono i soliti bigliettini come alla posta e fanno entrare un pò alla volta. Alla fine stretti stretti, seduti su un confessionale ma ci siamo. Evelina Meghnagi ci introduce alla sua musica che è un percorso attraverso la diaspora dei giudei. Canti yemeniti, libici, sefarditi, in judeo-spagnolo, arabo ma anche in italiano. Una alternativa alla musica klezmer e alla lingua hiddish che è piu' in voga. Tutto di fila il concerto potrebbe annichilire i palati meno fini, ma alcune melodie sono davvero accattivanti. Bravissimo Domenico Ascione alla chitarra che poi si cimenta in una versione commovente del classico (che era un classico l'ho scoperto dopo) di "adio kerida". La Meghnagi ha una voce potente ed arricchisce la musica con ampie descrizioni delle ballate.
Finiamo la serata in un ristorante kosher (ma i gestori sono musulmani, va bè che la cucina è la stessa) in cui ho scoperto che il carciofo alla giudia non è quello che pensavo e non mi piace proprio.
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