Come si può essere uguali a se stessi mentre si legge Necropolis? C'è qualcosa che ti invade, ti sconcerta, ti interroga, ti fa sentire inadeguato. Ti senti in colpa per qualcosa che non hai commesso in un tempo in cui neanche eri nato. Ti viene da pensare parafrasando Primo Levi "Se questo è un uomo", ma Pahor ha scritto un libro diverso da quello. Non che me lo ricordi bene visto che l'ho letto negli anni della scuola, ma in Necropolis ad esempio cambia il luogo : qui siamo in Francia, non piu' l'arcinota Auschwitz ma l'alsaziana Natzweiler-Struthof, qui non si parla di ebrei, bensì di prigionieri di guerra; in ogni caso le condizioni degli internati sono lo stesso inimmaginabili. L'autore ricorda i luoghi della sua sofferenza e della morte di molti suoi amici prendendo spunto da un ritorno sul luogo, che è ora divenuto un museo per visite guidate per scolaresche. E' evidente il contrasto tra l'aria scansonata e divertita che respirano gli studenti, e la serietà, il rispetto, la tensione emotiva di chi lì dentro ha vissuto sofferenza e morte. Ad esempio la vista di due innamorati :
"Noi eravamo immersi in una totalità apocalittica nella dimensione del nulla; quei due invece galleggiano nella vastità dell'amore, che è altrettanto infinito, e che altrettanto incomprensibilmente signoreggia sulle cose, le esclude o le esalta."C'è dentro anche una lucida visione politica, legata alla discriminazione subita dagli sloveni in Italia.
"La paura si era impadronita della nostra comunità a cominciare dalla fine della prima guerra mondiale, dai giorni in cui i libri delle nostre biblioteche erano stati accatastati davanti al monumento di Verdi e la gente se la godeva a vederli bruciare. E poi la paura era diventata nostro pane quotidiano quando le nostre case di cultura erano state trasformate in bracieri, quando un fascista aveva sparato al predicatore nel tempio sul Canale, quando un maestro con una tosse sospetta aveva punito con la sua saliva le labbra della scolara che si era azzardata a chiacchierare nella lingua proibita."Ma soprattutto ci sono tante storie, tanti racconti di uomini che cercano di conservare sino all'ultimo un lume di sopravvivenza. Gli esempi sono innumerevoli :
"Centottantasei gradini. Dieci pianerottoli. I corpi zebrati dovevano inerpicarsi sei volte al giorno fino alla cima, con una pesante pietra sulle spalle". Lungo lo stretto sentiero, sull'orlo di un precipizio, "stava un kapò che buttava giù con uno spintone chi a suo giudizio aveva una pietra troppo piccola sulle spalle". Sembra un girone infernale: "Quando alle guardie saltava il ghiribizzo, respingevano indietro, dalla cima della gradinata, quelli che si erano trascinati ansimando sin lassù, facendoli rovinare su chi stava sopravvenendo".Una lettura necessaria
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