Gran Torino di Clint Eastwood
Ogni volta che esce un film del mitico Clint mi stupisco di come possa essere così prolifico mantenendo alti livelli qualitativi e di come riesca a dire qualcosa in piu' nonostante abbia già detto molto nelle pellicole precedenti. Gran Torino è un film pulito, limpido, duro, impietoso, come lo sguardo del protagonista. Uno sguardo sprezzante sul mondo che è cambiato, sull'America, che non è più la stessa. Disprezzo per i musi gialli, i nuovi vicini che non curano il prato, e che ricordano a Walt Kowalki la guerra di Corea risvegliando in lui pagine dolorose, sepolte nei meandri della memoria. Disprezzo per i suoi figli che comprano macchine giapponesi ed educano la prole lasciandola in balia della modernità (televisiva) che li involgarisce e li corrompe. Disprezzo per le gang giovanili che scorrazzano per la zona divertendosi con la violenza fine a se stessa. Però ad un certo punto una breccia rompe l'isolamento del protagonista, fatto di birre scolate sotto il portico col cane fedele, in fondo questi coreani non sono poi così male, questo Thao è un ragazzo timido ed educato che può essere formato ai valori di un tempo, gli si può trasferire il testimone. Quindi la speranza nel futuro. E poi c'è la macchina, la mitica Ford Gran Torino vecchio simbolo dell'America produttiva, del sudore e dell'orgoglio degli americani che hanno lavorato in fabbrica come Kowalski. La Torino non si tocca, è un simulacro, una divinità, reale, non come quella impalpabile e vuota rappresentata dal giovane seminarista irlandese. Un vero film western, di epica moderna, con una conclusione altamente suggestiva e simbolica. Che ve lo dico a fare, fa venire i brividi!
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