22.11.10

Il popolo del risorgimento

Noi credevamo di Mario Martone


Ormai ci siamo : il centocinquantesimo è giunto, le celebrazioni sono alle porte. Se ne parla, si vendono libri, si inaugurano mostre, si dibatte in tv, soprattutto sulla mia amata "RaiStoria". Ovviamente se ne accorge solo chi vuole accorgersene; le informazioni che prevalgono nell'etere sono quasi sempre legate alla sexy-politica, ma chi è interessato può trovare scampoli di informazioni gratificanti. Così è arrivato anche il filmone sul risorgimento, prima a Venezia dove non è che abbia ricevuto grandi onori e poi al cinema. Appena è uscito ho sentito alcuni giudizi positivi da giornalisti e storici e di conseguenza, visto che Martone è un'artista di tutto rispetto, ho pensato di volerlo vederlo, anche se le tre ore mi spaventano sempre. "Noi credevamo" purtroppo è stato distribuito solo in qualche rara sala di una città grande come Roma ma neanche un bell'acquazzone violento mi ha impedito di raggiungere una sala cinematografica all'Eur e di godermi un film elettrizzante. Perchè il risorgimento è di per sè esaltante, tante figure di valore che ai nostri giorni metterebbero su una bella rivoluzione, ma si sa, certi treni non passano così spesso. E così ci si fa prendere da storie del passato. Ragazzi, perchè i giovani hanno unito l'Italia, e qualche bella testa pensante con Mazzini, un vero dominus. Grazie a questa gente ci siamo tolti dalle scatole la frammentazione di stati e staterelli che ci limitava e ci rendeva servi dello straniero. Ma i sogni erano piu' grandi di quello che si è realizzato e le modalità sono state piu' complesse di una semplificata storia patinata. Il film ovviamente non può raccontare tutta la storia, ma ci aiuta ad entrare in quell'atmosfera ed in quei luoghi. Senza giudizi, senza enfasi, senza retorica. Il punto di vista è quello di tre ragazzi del Regno delle due Sicile, due nobili ed un popolano che prendono parte a vario titolo ai primi moti del '21. Da qui si diramano le varie vicende attraverso società massoniche, finanziamenti segreti, attentati andati a vuoto, vicende carcerarie, per giungere infine al dopo unità in un'Italia che però non è quella sognata. Le divisioni restano, fra monarchici e repubblicani, fra nobili e popolani, fra nordisti e sudisti in un territorio dilaniato ancora per decenni da contrasti irrisolti. Ma lo spirito, le idee che sono girate, e che in parte si sono concretizzate fanno del Risorgimento italiano un momento di cui andare fieri. Grande cast, grande sceneggiatura, grande emozione. Dall'inizio alla fine. E quando ho sentito "
Quando all'appello di Garibaldi
tutti i suoi figli suoi figli baldi
daranno uniti fuoco alla mina
camicia rossa garibaldina
daranno uniti fuoco alla mina
camicia rossa garibaldina...
ho avvertito una scossa, un impeto, un desiderio di partire di nuovo, con un nuovo condottiero.



10.11.10

Tommasino da Pietralata

Una vita violenta di P.P.Pasolini


Roma e il dopoguerra, un bacino di storie, di vite, di personaggi a cui Pasolini ha attinto in maniera esemplare. Un mondo dipinto, riprodotto, analizzato, cantato in libri, film, articoli giornalistici. Come non essere attratti da uno scrittore che sembra calato dall'alto a spiegarti come stanno le cose; e come non desiderare di sentire il racconto antico delle mura e dei volti che vedi ogni giorno per le vie della città. Così dopo "Ragazzi di vita" , "Una vita violenta" approfondisce e mostra ancor di piu' i caratteri "difficili" della borgata romana nel periodo del boom economico. La storia di Tommaso è sporca, fangosa, fredda, e la conclusione drammatica ne è il termine ovvio. Negli anni'50 la speranza, il sogno, i soldi che si cominciano a vedere, posti di lavoro per tutti, di conseguenza molte persone hanno iniziato ad avere possibilità svaghi e divertimenti. Ma i nostri ragazzi di periferia hanno molta difficoltà ad emergere, anche grazie alla loro "purezza" che li tiene distanti dal conformismo che allora inizia a muovere i primi passi. Lo sguardo che Pasolini muove su questi luoghi e su questi volti è quello di un regista cinematografico. Campo lungo sullo spiazzo di Pietralata fra le baracche dove i ragazzini giocano a pallone e poi primi piani sui vari Tommasino, Lello, Zucabbo. Li seguiamo poi con la comitiva a piedi o col "millanta", girare per una bellissima Roma, senza traffico e caos, per ruberie d'altri tempi o per cercare l'amore o per osterie. Come non pensare a quei tanti film degli anni '50 che raccontano così dettagliatamente l'Italia di allora; questo romanzo ne è un degno collega. Ci sono inoltre spaccati sociologici a tutto tondo ad esmpio la politica, con Tommasino prima simpatizzante dei missini che finisce ad iscriversi al partito comunista e la scena madre della rivolta "comunista" al sanatorio è grandiosa. C'è il problema idrogeologico che a quei tempi rendeva malsana la zona di Pietralata, con l'alluvione che rende Tommasino un eroe ma lo condanna alla morte per tubercolosi, male che all'epoca fa molte vittime. E per concludere non si può non rimanere colpiti dal linguaggio, anche perchè qualcuno lo protrebbe trovare troppo ostico, un romanesco di borgata ormai in disuso che però contribuisce a rendere di notevole efficacia la ricostruzione della realtà.