Memorie di adriano di M.Yourcenar
Rimanda oggi, rimanda domani, finalmente ho sciolto la mia riserva e mi sono immerso nella lettura di "Memorie di Adriano". Ho dovuto un pò ricredermi rispetto alle mie molte esitazioni preconcettuali. In effetti, prima di leggere qualcosa, ho sempre un'idea dell'opera che mi costruisco, dal titolo, dall'autore, da qualche riferimento esterno ed ovviamente meno informazioni posseggo, piu' il mio preconcetto è campato in aria. "Memorie di Adriano" non mi ispirava per niente. Non è un romanzo, non è un saggio storico, ma un epistolario filosofico costruito addosso ad un personaggio storico. Gli spunti sono diversi, la Storia con la S maiuscola, la biografia di un uomo alla fine della sua esistenza, il suo rapporto con gli altri uomini e con il potere, il suo amore omosessuale. Adriano è immaginato come un attore di teatro, in effetti la trasposizione teatrale si adatta a meraviglia, che entra ed indossa i panni del suo personaggio e lo vive. La ricostruzione è straordinaria, grazie ad una importante ricerca documentale, ma anche e soprattutto della spiccata sensibilità intellettuale e sentimentale della Yourcenar. Non vi nascondo che il testo andrebbe letto piu' volte poichè non è immediato, o magari letto una sola volta in condizioni ideali (senza interruzioni, ambiente asettico, bibita e massaggio compresi), ma anche dopo una lettura bislacca come la mia si possono trattenere delle buone impressioni. Aiuta molto avere visitato Villa Adriana, può liberare l'immaginazione dal gravoso compito di individuare il luogo nel quale il protagonista scrive e pensa. Aiuterebbe molto di piu' avere un buon bagaglio di storia imperiale romana dell'età che va da Traiano a Marco Aurelio. Ma la centralità dell'opera sta nell'incontro ravvicinato con l' "animula vagula blandula" di Adriano, ormai in fin di vita che si trova a fare una resa dei conti con se stesso. Indimenticabili i passi sul suicidio di Antinoo e sul dolore provato da Adriano per la morte dell'amato, l'ammirazione e la perplessità per gli ebrei che preferiscono morire pur di non obbedire all'impero, le scene di caccia, l'evolvere della malattia, l'attesa della propria morte. Di grande intensità. Citiamo qualche passo :
In quell'epoca, nel consolidare la mia felicità, nell'assaporarla, nel valutarla persino, ponevo l'attenzione costante che ho sempre prestata ai particolari più futili delle mie azioni; e che cos'è la stessa voluttà se non un momento di attenzione appassionata del corpo? Qualsiasi felicità è un capolavoro:il minimo errore la falsa, la minima grossolanità la deturpa, la minima insulsaggine la degrada.
La memoria della maggior parte degli uomini è un cimitero abbandonato, dove giacciono senza onori i morti che essi hanno cessato di amare. Ogni dolore prolungato è un insulto al loro oblio.
"Il nostro errore più grande è quello di cercare di destare in ciascuno proprio quelle qualità che non possiede, trascurando di coltivare quelle che ha."
"Fondare biblioteche, è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire."
"Nell'occuparmene, penso spesso alla bella iscrizione che Plotina aveva fatto apporre sulla soglia della biblioteca istituita a sua cura in pieno Foro Traiano:"La mia opinione su di lui si modificava senza posa, il che accade solo per gli esseri che ci toccano da vicino: gli altri, ci contentiamo di giudicarli alla grossa, e una volta per tutte."
Tutta la vita ero vissuto d'amore e d'accordo col mio corpo; avevo implicitamente contato sulla sua docilità, sulla sua forza. Quest'intima alleanza cominciava ad allentarsi; il mio corpo cessava d'operare d'accordo con la mia volontà, col mio spirito, con quella che bisogna pure ch'io chiami, goffamente, la mia anima; il compagno intelligente d'un tempo, ormai non era più che uno schiavo riluttante alla fatica. Il mio corpo aveva paura di me: sentivo continuamente nel petto la presenza oscura della paura, una morsa che non era ancora dolore, ma il primo passo in quel senso.
Roma sarebbe sfuggita al suo corpo di pietra, e come Stato, come cittadinanza, come Repubblica si sarebbe composta un'immortalità più sicura. Nei paesi ancora barbari, in riva al Reno e al Danubio, sulle sponde del Mare dei Batavi, ogni villaggio difeso da una palizzata di legno mi ricordava la capanna di canne, il mucchio di strame dove dormirono i nostri gemelli sazi del latte della lupa: quelle metropoli future riprodurranno Roma. All'entità fisica delle nazioni e delle razze, agli accidenti della geografia e della storia, alle esigenze disparate degli dei e degli avi, noi avremmo sovrapposto per sempre, pur senza nulla distruggere, l'unità d'una condotta umana, l'empirismo d'una saggia esperienza. Nella più piccola città, ovunque vi siano magistrati intenti a verificare i pesi dei mercanti, a spazzare e illuminare le strade, a opporsi all'anarchia, all'incuria, alle ingiustizie, alla paura, a interpretare le leggi al lume della ragione, lì Roma vivrà. Roma non perirà che con l'ultima città degli uomini.